Bonifiche dei Siti inquinati: chimera o realtà? Terreno fertile per nuove eco-mafie

Gli abitanti della Terra dei Fuochi lo denunciano da tempo: la camorra vuole mangiare di nuovo sulla pelle della gente, approfittando dei fondi che serviranno per le bonifiche da effettuare proprio lì dove loro stessi hanno causato il disastro. La conferma che si tratti di un dubbio più che lecito arriva oggi dal dossier "Le bonifiche in Italia: chimera o realtà?", presentato oggi a Roma da Legambiente.

Gli abitanti della Terra dei Fuochi lo denunciano da tempo: la camorra vuole mangiare di nuovo sulla pelle della gente, approfittando dei fondi che serviranno per le bonifiche da effettuare proprio lì dove loro stessi hanno causato il disastro. La conferma che si tratti di un dubbio più che lecito arriva oggi dal dossier “Le bonifiche in Italia: chimera o realtà?“, presentato oggi a Roma da Legambiente.

RISCHIO ECOMAFIE E CRIMINALITÀ IN TUTTA ITALIA – Dal report emerge chiaramente il rischio di illegalità e di infiltrazione ecomafiosa nel settore, e non solo nelle regioni del sud Italia. Il coinvolgimento del centro-nord come luogo di smaltimento illegale dei rifiuti speciali e pericolosi emerge da molti anni nello scacchiere dei traffici illeciti lo stesso vale anche per le bonifiche, come dimostra anche la recentissima indagine su Pioltello (Mi), che ha portato all’arresto di due dirigenti di Sogesid e di altre quattro persone tra cui l’ex capo della segreteria tecnica dell’ex ministro Prestigiacomo, Luigi Pelaggi.

In base alle elaborazione di Legambiente, dal 2002 ad oggi sono state 19 le indagini su smaltimenti illegali di rifiuti derivanti dalla bonifica di siti inquinati (pari all’8,5% del totale delle indagini concluse contro i trafficanti di rifiuti), sono state emesse 150 ordinanze di custodia cautelare, sono state denunciate 550 persone e coinvolte 105 aziende. Queste indagini sono state concluse da 17 Procure della Repubblica di diverse parti d’Italia (Alessandria, Bari, Bologna, Brescia, Busto Arsizio (Va), Chieti, Grosseto, Massa, Milano, Rieti, Siena, Trapani, Udine, Velletri, Venezia, Verbania e Viterbo).

STORIA FERMA A DIECI ANNI FA – Intanto, mentra la mafia avanza, solo in 11 SIN è stato presentato il 100% dei piani di caratterizzazione previsti (cioé il primo step del processo di risanamento che definisce il tipo e la diffusione dell’inquinamento presente e che porta alla successiva progettazione degli interventi). Anche sui progetti di bonifica presentati e approvati emerge un forte ritardo: solo in 3 SIN è stato approvato il 100% dei progetti di bonifica previsti. In totale, sono solo 254 i progetti di bonifica di suoli o falde con decreto di approvazione, su migliaia di elaborati presentati.

Sebbene i primi 15 SIN da bonificare furono identificati nel 1998, nonostante le risorse impiegate e le semplificazioni adottate, la situazione attuale è di sostanziale stallo – ha dichiarato il vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani -. Caratterizzazioni e analisi effettuate in modo a volte esagerato e inefficace, progetti di risanamento che tardano ad arrivare e bonifiche completate praticamente assenti, a parte qualche piccolissima eccezione. Il Ministero dell’ambiente arranca, dietro alle migliaia di conferenze dei servizi e documenti, intanto i responsabili dell’inquinamento, pubblici e privati, ne approfittano per spalmare su più anni gli investimenti sulle bonifiche. Nel frattempo sono sempre più numerose le indagini sulle false bonifiche e sui traffici illegali dei rifiuti derivanti dalle attività di risanamento. Occorre un vero cambio di passo per fare quello che è stato già realizzato con successo in altri paesi industrializzati”.

STORIE DI MELINA – Le bonifiche vanno a rilento, ma non il giro d’affari del risanamento ambientale che si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Dal 2001 al 2012 sono stati messi in campo 3,6 miliardi di euro di investimenti, tra soldi pubblici (1,9 miliardi di euro, pari al 52,5% del totale) e progetti approvati di iniziativa privata (1,7 miliardi di euro, pari al 47,5% del totale), con risultati concreti davvero inesistenti. In questo scenario di grandi ritardi nelle attività di bonifica, un ruolo non marginale lo hanno avuto anche una parte dei soggetti responsabili dell’inquinamento.

Sono numerose le storie di melina – per usare una metafora calcistica – operata dalle aziende sulle operazioni di bonifica. Un esempio è quello dell’Ilva di Taranto, o quello della Stoppani di Cogoleto (Ge), un’azienda chimica che per decenni ha inquinato di cromo esavalente il torrente Lerone e un tratto di costa del Mar Ligure. Lo stesso vizio viene praticato anche da aziende pubbliche o a prevalente capitale pubblico, come nel caso della Syndial nella bonifica di Crotone.

ChimeraBonifiche infografica

10 PROPOSTE PER IL RISANAMENTO – Ma non tutto è perduto. Per avviare concretamente i processi di risanamento ambientale in Italia, Legambiente presenta le sue 10 proposte:

1. Garantire maggiore trasparenza sul Programma nazionale di bonifica, permettendo a tutti di accedere alle informazioni sull’aggiornamento del risanamento di ciascun sito di interesse nazionale da bonificare.

2. Stabilizzare la normativa italiana e approvare una direttiva europea sul suolo

3. Rendere più conveniente l’applicazione delle tecnologie di bonifica, passando dalla stagione delle caratterizzazioni a quella dell’approvazione dei progetti e dell’esecuzioni dei lavori, per realizzare bonifiche vere e non le solite messe in sicurezza o i soliti tombamenti.

4. Istituire un fondo nazionale per le bonifiche dei siti orfani: uno strumento attivo negli Stati Uniti dal lontano 1980 (quando fu approvata la legge federale sul Superfund) e previsto anche nella proposta di direttiva europea sul suolo presentata nel 2006.

5. Sostenere l’epidemiologia ambientale per praticare una reale prevenzione

6. Fermare i commissariamenti, anche sulle bonifiche dei siti inquinati – così come su altre emergenze ambientali – i commissariamenti attivati negli anni si sono dimostrati un vero fallimento.

7. Potenziare il sistema dei controlli ambientali pubblici

8. Introdurre i delitti ambientale nel codice penale

9. Applicare il principio chi inquina paga anche all’interno del mondo industriale, promuovendo all’interno delle associazioni di categoria iniziative tese a escludere i soci che ricorrono a pratiche illecite nello smaltimento dei rifiuti, anche derivanti da operazioni di bonifica.

10. Ridimensionare il ruolo della Sogesid, società pubblica attiva sulla gran parte dei SIN e al centro di recenti indagini giudiziarie, affinché il Ministero e gli altri enti di supporto riprendano appieno le loro competenze ed affidino eventualmente specifiche attività a soggetti individuati sulla base di gare pubbliche o comunque sulla base di valutazioni comparative.

Per consultare il rport e la mappa dei siti inquinati clicca qui

Roberta Ragni

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