Addio alla deforestazione entro il 2030? (climate2014)

Climate Summit 2014. Per l'Onu, la lotta ai cambiamenti climatici deve necessariamente passare per la deforestazione. Ancora una volta è la Natura a fornire la soluzione all'uomo contro gli stessi scempi che egli crea. I leader delle Nazioni Unite presenti a New York si sono impegnati ad azzerare la deforestazione entro il 2030 e a ricostruire oltre 350 milioni di ettari di boschi e campi coltivati, siglando la “New York Declaration on Forests

Climate Summit 2014. Per l’Onu, la lotta ai cambiamenti climatici deve necessariamente passare per la deforestazione. Ancora una volta è la Natura a fornire la soluzione all’uomo contro gli stessi scempi che egli crea. I leader delle Nazioni Unite presenti a New York si sono impegnati ad azzerare la deforestazione entro il 2030 e a ricostruire oltre 350 milioni di ettari di boschi e campi coltivati, siglando la New York Declaration on Forests.

Un’impresa non da poco, visto che si tratta di riportare allo stato originale una superficie maggiore dell’India. La dichiarazione di New York sulle foreste però è ancora un accordo politico non giuridicamente vincolante, che difficilmente – almeno con questi presupposti – riuscirà a salvare le foreste mondiali, e con esse il clima nonostante le rassicurazioni del segretario generale Ban Ki-moon: “Le foreste non sono solo una parte fondamentale della soluzione clima, sono titolari di molteplici vantaggi per tutti i membri della società”.

Far ritornare verdi 350 milioni di ettari di boschi entro i prossimi 15 anni, permetterebbe di evitare tra 4,5 e 8,8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno. La stessa quantità che si otterrebbe rimuovendo le emissioni di carbonio prodotte da un miliardo di auto in un anno. La coltivazione di quattro prodotti di base – soia, olio di palma, manzo e carta – è responsabile da sola di circa la metà della deforestazione globale.

La dichiarazione è stata approvata da 130 entità tra associazioni, aziende, indigeni, ONG, compresi 27 paesi, tra cui Stati Uniti, Belgio, Francia, Indonesia, Germania e i governi subnazionali di Perù e Brasile, le aree che racchiudono le più grandi foreste pluviali tropicali intatte del mondo.

Tante le iniziative poi proposte dai singoli stati, tra cui quelle dei governatori dal Perù e della Liberia che hanno presentato nuove politiche forestali e si sono impegnati a ridurre la deforestazione dell’80 per cento. La Repubblica democratica del Congo, l’Etiopia, il Guatemala, l’Uganda e molti altri paesi hanno invece assunto l’impegno volto al ripristino di più di 30 milioni di ettari di terre degradate.

Oltre alla dichiarazione di New York, il vertice ha indotto il Regno Unito e la Norvegia impegnare centinaia di milioni di dollari per porre un freno alla deforestazione. Il Regno Unito ha promesso 98 milioni di dollari per incoraggiare le imprese a rifornirsi di prodotti agricoli provenienti da foreste gestite in modo sostenibile e altri 137.000 dollari per porre fine al disboscamento illegale. La Norvegia, dal canto suo, ha promesso di collaborare con la Liberia e offrire fino a 150 milioni fino al 2020.

Ma non basta, come ha sottolineato anche il Consumer Goods Forum, una coalizione di 400 aziende, che ha invitato i governi a rendere vincolante l’accordo sul clima in occasione della Conferenza di Parigi del 2015.

E bisogna fare presto. Mentre i grandi della Terra discutono a New York, l’Amazzonia, già duramente provata da anni di deforestazione, lo scorso anno ha fatto registrare un aumento del 29 per cento della sua distruzione, secondo i dati resi noti mercoledì dal governo brasiliano: “Le foreste rappresentano una delle più grandi soluzioni climatiche convenienti disponibili oggi. Le azioni per conservarle, gestirle e ripristinarle in modo sostenibile possono contribuire alla crescita economica, alla riduzione della povertà” ma anche a garantire la sicurezza alimentare, la resilienza del clima e la conservazione della biodiversità.

Anche Greenpeace, pur avendo accolto con favore gli impegni espressi a New York, ribadisce la necessità di un accordo globalmente vincolante. Gli impegni volontari infatti non possono sostituire l’azione di governo. Kumi Naidoo, Executive Director di Greenpeace International ha detto: “Abbiamo bisogno di leggi forti per proteggere le foreste e le persone, così come una migliore applicazione delle leggi esistenti. La Dichiarazione di New York manca di obiettivi ambiziosi e azioni concrete. Arrestare la perdita globale di foreste naturali entro il 2030 ed eliminare la deforestazione dai prodotti agricoli di base entro il 2020 significherebbe che si trovano ancora davanti a noi anni di continua deforestazione”.

E intanto le foreste indonesiane continuano a soffrire, con tassi di mortalità ormai alle stelle, con conseguenze che si ripercuotono su vari settori. In pochi forse sanno che spesso a Sumatra vengono chiuse le scuole a causa della foschia causata dagli incendi.

Un buon accordo purché non viva solo sulla carta ma venga attuato e rispettato da tutte la parti coinvolte,” è stato il commento di Antonio Nicoletti, responsabile Aree protette di Legambiente.

Meno parole, più fatti, ha detto Ban Ki-moon. Il 2030 potrebbe già essere troppo tardi. I governi mondiali dovrebbero immediatamente far rispettare le leggi di conservazione delle foreste e quelle anti-corruzione, e intanto lavorare sui propri quadri normativi per proteggere efficacemente le foreste naturali.

Francesca Mancuso

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