The Transition Culture: l’era dei cittadini consapevoli

Si sta diffondendo anche in Italia il movimento di transizione fondato da Rob Hopkins.

Il movimento di transizione è nato circa sei anni fa per iniziativa di un insegnante inglese, Rob Hopkins, ecologista e specializzato nella permacultura (l’utilizzo sostenibile della terra). La prima tappa fu il lancio – con la collaborazione degli studenti di Kinsale (Irlanda) – del cosiddetto Kinsale Energy Descent Plan, il primo progetto di Piano d’Azione della decrescita energetica, adottato all’unanimità dall’amministrazione comunale, il quale indicava come la cittadina irlandese (circa 7000 abitanti) avrebbe potuto attuare la transizione da città ad elevato consumo di energia a una a basso consumo.

Nel giro di breve tempo, il movimento di transizione ha raccolto proseliti, superando i confini della Gran Bretagna, soprattutto grazie all’immediatezza che connota il messaggio di Hopkins, e alla capacità di “fare rete” attraverso numerose azioni di sensibilizzazione (eventi, seminari, incontri, corsi di formazione).

In pratica, esso si fonda su due assunti fondamentali: il raggiungimento del picco del petrolio quale risorsa energetica e il riscaldamento globale. Secondo Hopkins, infatti, la crisi petrolifera e i cambiamenti climatici rappresentano minacce chiaramente percepibili dalle persone, motivandole ad adottare uno stile di vita differente, il quale determina molteplici effetti positivi sull’ambiente (lotta all’inquinamento, salvaguardia della biodiversità, una maggiore equità sociale, redistribuzione delle ricchezze ecc…).  Va sottolineato che quando si parla di “picco” non s’intende tanto l’esaurimento del petrolio, bensì della fine del petrolio abbondante e a basso costo (per comprendere meglio la questione è utile consultare anche il blog dell’ASPO, sezione italiana dell’Associazione internazionale per lo studio del picco del petrolio e del gas).

La città di Totnes, nel Devon (sud-ovest dell’Inghilterra), è stata la prima Transition Town, ossia la prima comunità di cittadini a intraprendere un percorso per limitare la concentrazione delle emissioni di gas serra e passare dalla dipendenza dal petrolio al nuovo “piano di decrescita energetica”. Come si evince dal documento introduttivo sulle iniziative di transizione:
una città con molto meno energia e risorse di quelle attualmente consumate potrebbe essere, se opportunamente programmate e progettate, più resiliente, più ricca e più piacevole di oggi. Dato i probabili disagi derivanti dal Picco del petrolio e dal cambiamento climatico, una comunità resiliente – una comunità che è fiduciosa in se stessa per il maggior numero possibile dei suoi bisogni – sarà preparata infinitamente meglio di quelle comunità esistenti con una totale dipendenza da sistemi fortemente globalizzati per cibo, energia, trasporti, sanità e alloggi“.

Quali sono nello specifico gli scopi della transizione? È stata da poco pubblicato da parte del Transition Network (la rete internazionale che raccoglie e coordina le iniziative di transizione) il documento “Chi siamo e cosa facciamo“, disponibile anche in lingua italiana (scarica il pdf), che ci guida passo dopo passo verso la “presa di consapevolezza” e le azioni da mettere in pratica per adottare la transition culture.

Innanzitutto, è fondamentale avere una visione consapevole, sì, ma pur sempre positiva, cioè non catastrofica degli eventi, in modo da coinvolgere i singoli con fiducia e passione. La prima “virtù” da coltivare, infatti è quella della resilienza, ossia la capacità di un sistema o di una certa specie di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, senza degenerare e perdere le proprie caratteristiche e funzioni: in pratica, una sorta di elasticità e flessibilità rispetto alle sollecitazioni provenienti dall’esterno. In secondo luogo, i gruppi di transizione nascono per aiutare le persone ad accedere a buone fonti di informazione, in modo da prendere buone decisioni (senza costrizioni o imposizioni dall’alto). Per fare questo, si rende necessario un coinvolgimento dell’intera comunità, una condivisione d’informazioni e di “pratiche” (con la scoperta del “saper fare” e di tutte quelle conoscenze cadute in disuso a seguito del consumismo), attraverso un’organizzazione decentralizzata e auto-organizzata, mantenendo sempre un’apertura verso l’esterno.

TransitionNetwork-Logo-Web-Italia

Il movimento di transizione si è sviluppato anche in Italia ed è possibile reperire informazioni tramite Transitionitalia, il sito del nodo italiano, e il blog “Io e la transizione” . La prima città di transizione italiana è stata Monteveglio (provincia di Bologna), seguita da Granarolo (sempre nel bolognese), L’Aquila e Lucca. Come si evince dalla mappa delle Transitiontowns Italia, vi sono poi diversi centri che stanno progettando un percorso simile.
Va ricordato che sempre in Italia è sorto anche un altro movimento che s’ispira a principi simili: si tratta della la Rete del nuovo municipio, un’associazione senza fini di lucro costituita fra amministratori locali, esponenti del mondo associativo di base e ricercatori,  per sviluppare le tematiche della democrazia partecipativa e delle nuove forme di cittadinanza e dello sviluppo locale autosostenibile contenute nella “Carta del Nuovo Municipio”. Un’alternativa alla globalizzazione, finalizzata alla valorizzazione delle risorse e delle specificità locali e a forme di cooperazione solidali.

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