Piante geneticamente modificate per rilevare inquinamento, esplosivi e armi chimiche

Si tratta di piante il cui codice genetico è stato modificato in modo tale che, una volta a contatto con particelle specifiche, il loro colore cambi dal verde al bianco. Le particelle in questione non sarebbero altro che gli ingredienti principali di esplosivi o armi chimiche: in pratica, se l'aria di un certo ambiente viene contaminata, o se in quell'ambiente viene introdotta una bomba, la pianta se ne accorge e, diciamo così, impallidisce... avvisando chi di dovere del pericolo che incombe.

La guerra crea problemi, la guerra li risolve. Basterebbero queste parole per spiegare l’ultima novità in campo di bio-ingegneria genetica. Si tratta di piante il cui codice genetico è stato modificato in modo tale che, una volta a contatto con particelle specifiche, il loro colore cambi dal verde al bianco. Le particelle in questione non sarebbero altro che gli ingredienti principali di esplosivi o armi chimiche: in pratica, se l’aria di un certo ambiente viene contaminata, o se in quell’ambiente viene introdotta una bomba, la pianta se ne accorge e, diciamo così, impallidisce… avvisando chi di dovere del pericolo che incombe.

A condurre le ricerche è un team di scienziati guidato da June Medford, del laboratorio di biologia dell’Università del Colorado: la speranza è quella di trovare una soluzione discreta ed economica al problema degli attentati terroristici. Piante di questo tipo tornerebbero infatti molto utili all’interno di aeroporti, stazioni, luoghi pubblici affollati, ma anche durante manifestazioni, convegni o altro. Insomma, in tutti i quei casi dove il rischio che qualcuno piazzi un ordigno è alto. I problemi ancora da risolvere, tuttavia, sono molti.

Il primo è l’ambiente stesso: gli esperimenti finora condotti sono avvenuti nella cosiddetta “Wired’s Danger Room”, una stanza apposita in cui le sostanze chimiche erano introdotto a regime controllato. Resta da vedere se le piante riconosceranno le stesse sostanze anche in situazioni non controllate, dove l’aria trasporta con sé le sostanze più disparate. Compreso ad esempio il nitrato di ammonio, fertilizzante agricolo e ma anche ingrediente base per esplosivi tipo Ammonal o ANFO (quest’ultimo molto apprezzato da gruppi terroristici come l’ETA). Altri problemi da risolvere sono la velocità con cui le piante sbiancano nonché la precisione e l’uniformità del cambiamento, che deve risultare inequivocabile per l’occhio umano. Problemi che, spera June Medford, si potranno risolvere entro quattro anni.

C’è però un risvolto triste di questa vicenda. Se si va a vedere chi ha finanziato la ricerca, infatti, si scoprono due sigle: DARPA E DHS. La prima è l’Agenzia per i Progetti di Ricerca Avanzata per la Difesa, agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare. La seconda è invece il Dipartimento di Sicurezza Interna degli Stati Uniti, che si è dimostrato molto interessato al progetto (ma non l’ha finanziato direttamente, pare). Il problema del terrorismo, in sostanza, non viene affrontato alla base, finanziano programmi di istruzione, isolando culturalmente gli estremisti, creando i presupposti perché i movimenti di questo tipo siano visti con ostilità dalla popolazione. Ciò che viene fatto – da chi, molto spesso, è il primo responsabile del terrorismo – è invece trovare una soluzione (complicata) per scongiurare gli attentati. Come si diceva all’inizio: la guerra crea problemi, la guerra li risolve.

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