Fanghi rossi in Ungheria: continua l’allerta. Anche in Sardegna rischio disastro ecologico

Mentre si pensa di riaprire l'impianto di alluminio della Mal ad Ajka nonostante le denuncie di contaminazione della zona, gli occhi tornano sull'Euroallumina in sardegna dove gli impianti sono fatiscenti e si teme un disastro

Continua l’allarme in Ungheria, dove Greenpeace ha fatto eseguire alcuni controlli dall’Università di Vienna. Secondo i risultati delle analisi, il 70% dei fanghi rossi che stanno devastando il Paese contengono particelle ultrafini, più piccole di due micron; ciò vuol dire che queste nano particelle non vengono filtrate durante la respirazione dell’uomo e finiscono direttamente nei polmoni, con tutte i rischi di problemi respiratori e cardiovascolari che ne possono conseguire.

Ma non è tutto, perché – dalle analisi effettuate da Greenpeace – emerge anche un altro dato inquietante: sostanze pericolose – come l’arsenico contenuto nei fanghi essiccati – vengono trasportati dal vento e si espandono anche nelle zone non toccate direttamente dal fango rosso. La salute della popolazione locale è quindi a rischio.

Crediamo sia giunto il momento che le autorità ungheresi – ha detto Vittoria Polidori, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace – informino adeguatamente la gente, invece di pensare solo a terminare l’evacuazione del villaggio di Kolontar. Se nei prossimi giorni il tempo in Ungheria dovesse diventare più secco e con vento forte, la concentrazione nell’aria di queste particelle fini crescerà molto. Per questo – ha continuato Polidori – chiediamo al governo ungherese di tenere chiuso l’impianto di produzione dell’alluminio della Mal, fino a quando una commissione internazionale e indipendente di esperti attesti la totale sicurezza della struttura e fornisca una valutazione dei rischi sanitari attuali e a lungo termine”.

Inoltre, l’associazione ambientalista chiede al governo ungherese di non riaprire l’impianto di alluminio della Mal ad Ajka, fino a quando una Commissione internazionale di studiosi indipendenti non ne abbia accertato la sicurezza.

E mentre Greenpeace tiene gli occhi ben puntati sul disastro ecologico che sta devastando l’Ungheria, l’attenzione torna in Italia, in particolare in Sardegna.
A circa 200 metri dalla costa sud occidentale della regione, dal 1975, infatti, c’è un deposito di fanghi rossi pericolosi che appartengono all’Euroallumina, società italiana, che nel 2008 è stata rilevata dalla Rusal, azienda russa produttrice di alluminio, che sembra molto scadente a livello di manutenzione degli impianti.

Il luogo utilizzato per il contenimento dei fanghi sembra infatti carente di manutenzione e migliorie, tanto che negli anni scorsi si sono registrati sversamenti di fanghi pericolosi perfino nelle falde acquifere; un fatto che ha provocato la chiusura e il sequestro della struttura. L’impianto quindi è ormai chiuso ma, vista la diminuzione del livello dei fanghi nella vasca (da 36 25), si pensa ad alcune perdite di sostanze pericolose nell’ambiente.

Non esiste un trattamento definitivo per mettere davvero in sicurezza questi fanghi, così come sono ancora in fase di sperimentazione le tecniche per il loro recupero. È fondamentale – ha detto Vittoria Polidori, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace – lavorare quindi sulla prevenzione di questi terribili disastri, adottando tecnologie all’avanguardia e una gestione attenta e corretta delle aree di stoccaggio”.

Verdiana Amorosi

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