Vita, morte e biossido di carbonio: la pira sostenibile

Vivere in armonia con la natura va bene, ma anche le spoglie mortali pongono una questione ecologica. La diatriba classica è tra sepoltura o cremazione, qual è la migliore soluzione, la più eco-sotenibile?

I vetero-newage caldeggiano la sepoltura in terra, senza bara, per evitare di disperdere la fantomatica “energia elettrodebole” che accumulerremmo in vita. Il problema però è serio e non si può ricondurlo a una questione di moda: in molti casi infatti sono coinvolte profonde credenze religiose e un incisivo impatto ambientale.

Prendiamo l’India, dove ogni anno muoiono circa 10 milioni di persone e l’85% della popolazione pratica la cremazione rituale su pira di legna. Questa pratica religiosa – secondo alcune stime – consuma ogni anno 50 milioni di alberi che, una volta combusti, rilasciano nell’atmosfera 8 milioni di tonnellate di biossido di carbonio (anidride carbonica), senza contare le ceneri.

Ciò conduce al paradosso che un indiano medio durante la sua vita parca di consumi contribuisce pochissimo all’inquinamento ambientale, ma una volta morto il suo contributo schizza alle stelle.

È difficilissimo però che un Indù rinunci a questa pratica, in quanto la cremazione è considerata un mezzo essenziale perché l’anima del defunto possa rientrare nel ciclo della reincarnazione (samsara). Anzi, la totale combustione dei resti mortali aiuterebbe l’anima defunto nel suo viaggio verso l’illuminazione finale (nirvana).

Non sempre inoltre le cose vanno per il verso giusto durante la cremazione, per motivi sia tecnici che economici. Accade spesso infatti che le famiglie più povere non abbiano i soldi necessari per comprare legna sufficiente. In questi casi può capitare che i cadaveri restino parzialmente integri e che finiscano come le ceneri nel fiume Ganje, già molto inquinato.

Fu proprio assistendo ad una simile scena che 15 anni fa  l’ingegnere Vinod Kumar Agarwal capì che bisognava trovare una soluzione per ottimizzare l’impatto ambientale di questa pratica. Così naque il Mokshda Green Cremation System. Da bravo ingegnere Agarwal realizzò un sistema molto semplice, basato sulle leggi fisiche della combustione: invece che disporre la legna dierettamente al suolo, basta poggiarla su una grata distanziata dal terreno per migliorare la circolazione dell’aria, regolata anche attraverso un tetto posto sopra la pira che può essere abbassato per mantenere il calore o alzato per ossigenare le fiamme.

Grazie a questi semplici accorgimenti, il sistema Mokshda permette di risparmiare fino al 75% di legna, e di ridurre considerevolmente le risultanti emissioni di biossido di carbonio.

Fare accettare questo nuovo sistema ai credenti Indù non è facile, nonostante l’introduzione di importanti particolari al progetto originale, come la pavimentazione in marmo e una statua si Shiva.

Al momento in India esistono 12 unità in funzione del sistema Mokshda ma altre 80 sono in via di allestimento. Anshul Garg, direttore della ONG costituita intorno a questo progetto, stima che nel giro di una generazione Mokshda potrebbe diventare il più diffuso sistema per le cremazioni rituali indù. Del resto anche il governo indiano vede di buon occhio questo progetto, anche se al momento ha impellenze finanziarie più urgenti.

In compenso, Mokshda è diventato un progetto ufficiale del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) che andrà avanti fino al 2011 e prevede l’installazione di sistemi di cremazione sostenibile in tutte le principali città indiane.

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