Buco dell’ozono: nel polo Nord ha dimensioni ridotte rispetto all’Antartide

Secondo uno studio del MIT, i livelli di ozono nella regione Artica ancora non hanno raggiunto i minimi estremi già registrati in Antartide

Una buona notizia arriva dal Polo Nord: i livelli di ozono nella regione Artica ancora non hanno raggiunto i minimi estremi già registrati in Antartide.

Così, dopo essere stato elevato a “Santuario” protetto dalle trivellazioni, l’Artico potrebbe non essere flagellato da un buco nello strato di ozono così intenso come, invece, già è il Polo Sud. Ad affermarlo è un articolo pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze Americana Pnas e condotto dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit), coordinati da Susan Solomon.

Sicuramente c’è un certo impoverimento dell’ozono artico, ma la situazione estrema che si vede in Antartide finora è molto diversa da quella che troviamo nella regione artica, anche negli anni più freddi“, dice la Solomon, professore di Chimica Atmosferica e Scienze del Clima Atmospheric Chemistry and Climate Science al MIT.

LO STUDIO – I ricercatori si sono serviti di palloni sonda e di dati satellitari per esplorare entrambe le regioni polari e hanno scoperto che i livelli di ozono nella zona Artica hanno avuto un calo significativo nel corso di un periodo abbastanza lungo di freddo inusuale nella primavera del 2011. In pratica, le temperature estremamente basse possono stimolare la perdita di ozono, dal momento che grazie ad esse si creano le condizioni principali per la formazione di nuvole stratosferiche polari. Quando la luce solare colpisce queste nuvole, si scatena una reazione tra il cloro proveniente dai clorofluorocarburi (CFC), le sostanze chimiche artificiali che una volta venivano utilizzate nei circuiti dei frigoriferi e nelle bombolette spray. Queste reazioni portavano in ultima analisi ad una distruzione dell’ozono.

buco ozono artico

E forse proprio agli sforzi internazionali si deve la buona notizia di oggi: dopo che nel 1980 si capì che dall’uso dei CFC derivava gran parte dell’aumento del buco dell’ozono antartico, i paesi di tutto il mondo decisero di eliminare gradualmente l’utilizzo dei CFC stessi come parte del Protocollo di Montreal del 1987. Da allora i CFC non si usano più, ma quelli prodotti in quegli anni sono ancora nell’atmosfera. È per questo che le concentrazioni atmosferiche hanno raggiunto il picco, anche se adesso si stanno lentamente riducendo, e ci vorranno diversi decenni prima che i CFC siano totalmente eliminati dall’ambiente.

In buona sostanza, il gruppo del MIT dimostra che la perdita di ozono in Antartide è strettamente associata ai livelli ridotti di acido nitrico nell’aria, che è più fredda di quella nell’Artico. Un passo in avanti? Certo, anche se minuscolo. Ma non solo: come la mettiamo con i dati snocciolati appena ieri dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc)? Un taglio netto ai CFC non basta. Ricordiamoci anche tutte le emissioni di gas serra e l’uso spropositato di combustibili fossili dei Paesi industrializzati di tutto il mondo.

Germana Carillo

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