OGM: negli USA approvata l’etichettatura obbligatoria in due Stati, ma la legge è ambigua

Etichette che rivelano la presenza di Ogm: negli Stati Uniti è iniziata la rivoluzione? Presto per dirlo. Pochi giorni fa, in Connecticut il Senato ha approvato a larga maggioranza un disegno di legge che introduce l'obbligatorietà di segnalare, nell'etichettatura dei prodotti alimentari, l'eventuale presenza di organismi geneticamente modificati. Entro breve il testo dovrebbe passare anche alla Camera. Se così fosse, il Connecticut sarebbe il primo Stato della federazione a rispondere alle richieste dei consumatori che rivendicano un diritto importante: quello a sapere ciò che mangiano.

Etichette che rivelano la presenza di Ogm: negli Stati Uniti è iniziata la rivoluzione? Presto per dirlo. Pochi giorni fa, in Connecticut il Senato ha approvato a larga maggioranza un disegno di legge che introduce l‘obbligatorietà di segnalare, nell’etichettatura dei prodotti alimentari, l’eventuale presenza di organismi geneticamente modificati. Entro breve il testo dovrebbe passare anche alla Camera. Se così fosse, il Connecticut sarebbe il primo Stato della federazione a rispondere alle richieste dei consumatori che rivendicano un diritto importante: quello a sapere ciò che mangiano.

Tuttavia, non si può ancora parlare di successo. Il testo licenziato dal Senato è frutto di un negoziato piuttosto complesso, che ha prodotto una disposizione altrettanto ambigua: vincolo per l’approvazione definitiva è infatti l’adozione dello stesso provvedimento da parte, almeno, di altri 4 Stati del nord-est. Uno di tali Stati deve confinare direttamente con il Connecticut e la popolazione dei due paesi deve toccare i 20 milioni di abitanti.

Un capolavoro di politica, che secondo gli ottimisti ha una spiegazione valida: se più paesi adotteranno la legge, il Connecticut non si troverà da solo a fronteggiare i giganti delle biotecnologie, pronti a scagliarsi sulle sue istituzioni un minuto dopo la promulgazione. L’intenzione sarebbe anche quella di proteggere i piccoli agricoltori da perdite che toglierebbero loro competitività.

Per fortuna, la scorsa settimana anche il Senato del Maine ha votato all’unanimità una legge del tutto simile. Per sfortuna, invece, in quel testo la clausola per il via libera prevede la previa adozione di altri 5 paesi. Uno in più rispetto al Connecticut. Il dibattito è ora aperto negli Stati di New Hampshire, Massachusetts, New York e Rhode Island, mentre i due paesi battistrada restano alla finestra.

Molti sostenitori di questo provvedimento sono entusiasti, certi che stia per aprirsi un nuovo corso nella storia degli organismi geneticamente modificati. Eppure, le cosiddette “trigger clauses”, clausole che per saltare necessitano di una catena di eventi, a un occhio italiano paiono un po’ oscure: se è vero che mettono al riparo uno Stato dall’attacco frontale delle multinazionali è anche vero che il potere decisionale dovrebbe detenerlo il suddetto Stato, e non le multinazionali.

È in pratica la certificazione dell’impotenza della democrazia di fronte alle ragioni economiche dei giganti del transgenico. La postilla, inoltre, ha il difetto di allungare a dismisura i tempi dell’entrata in vigore di un simile provvedimento.

In Italia, simili mosse sarebbero la prova di una sicura volontà di non agire, rinviando il problema in attesa che la memoria corta dell’elettorato faccia il resto. Speriamo che in America non funzioni così.

Francesco Paniè

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