Gli scienziati chiedono agli Stati di fissare il “picco di carne” entro il 2030. È l’unica soluzione per affrontare la crisi climatica

Diminuire il consumo di carne e latticini ridurrà il metano e permetterà alle foreste di prosperare. Gli scienziati lanciano un appello agli Stati, ma anche un monito affinché, entro il 2030, essi dichiarino di aver raggiunto il 'picco di bestiame' per poi passare alla riduzione della produzione per far fronte all'emergenza climatica.

Diminuire il consumo di carne e latticini ridurrà il metano e permetterà alle foreste di prosperare. Gli scienziati lanciano un appello agli Stati, ma anche un monito affinché, entro il 2030, essi dichiarino di aver raggiunto il ‘picco di bestiame’ per poi passare alla riduzione della produzione per far fronte all’emergenza climatica.

“Per contribuire a ridurre il rischio di innalzamento della temperatura globale oltre 1,5 gradi centigradi o 2, – scrivono gli scienziati – chiediamo ai paesi ad alto e medio reddito di integrare delle misure nei loro impegni per rispettare l’accordo di Parigi, dal 2020 in poi”.

La prima misura è quella dichiarare appunto il picco di bestiame, così che la produzione non continui ad aumentare; la seconda quella di identificare nel settore zootecnico, le maggiori fonti di emissioni e fissare obiettivi di riduzione adeguati per la produzione. Ancora, nel settore agricolo, quando i pascoli non sono necessari o non adatti all’orticoltura, adottare un approccio naturale per riutilizzare la terra come fonte di carbonio, ripristinando la copertura vegetale.

Come sappiamo gli allevamenti intensivi, soprattutto quelli di bovini e ovini, immettono numeri significativi di gas nell’atmosfera. Le foreste vengono distrutte per fare spazio agli animali e alle colture con cui essi vengono nutriti. Oltre l’80% dei terreni agricoli è utilizzato per l’allevamento e ciò incide notevolmente sui cambiamenti climatici.

Secondo gli scienziati, ridurre la carne e i latticini e fare una dieta principalmente a base vegetale, libererebbe la terra per essere restituita alla foresta naturale. Questa sarebbe la migliore opzione attualmente disponibile per immagazzinare grande quantità di carbonio.

Se il settore zootecnico continuasse a funzionare normalmente, entro il 2030 il 49% del bilancio delle emissioni sarebbe attribuibile agli allevamenti. Dalla prima relazione di valutazione del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici nel 1990, la produzione di carne, latte e uova è aumentata da 758 milioni di tonnellate a 1247 milioni di tonnellate nel 2017, e si prevede che aumenterà ulteriormente.

La continua crescita del settore zootecnico aumenta il rischio di superare i limiti delle emissioni stabiliti nella Conferenza di Parigi. Per questo, appunto in una dettagliata lettera su Lancet, chiedono delle azioni concrete anche in vista del vertice sul clima delle Nazioni Unite a Madrid.

“La domanda di cibo aumenterà enormemente man mano che la nostra popolazione si espande verso i 10 miliardi”, ha affermato Matthew Betts alla Oregon State University, negli Stati Uniti. “La riduzione della domanda umana di proteine ​​animali rallenterebbe notevolmente il tasso di perdita globale delle foreste, con enormi vantaggi per la biodiversità e i servizi ecosistemici, oltre allo stoccaggio del carbonio”.

Noi lo ribadiamo sempre, sostituire o limitare la carne con proteine vegetali giova alla nostra salute e diventa garanzia di vita più lunga e di un rischio ridotto di malattie cardiovascolari.

“Siamo pienamente consapevoli del fatto che la nostra chiamata richiede un cambiamento su vasta scala in tutta la società e non è qualcosa che può essere raggiunto dall’oggi al domani o senza sfide”, chiosano gli scienziati.

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