I prodotti biologici non riusciranno a sfamare tutto il mondo

L’agricoltura biologica sarebbe in grado di garantire, da sola, il fabbisogno alimentare di una popolazione mondiale crescente? A riaprirle il dibatto su di un tema tanto delicato quanto attuale, interviene un articolo pubblicato di recente tra le pagine della nota rivista Nature, volto a comparare la resa produttiva dell’agricoltura biologica rispetto ai metodi di coltivazione convenzionali, comprendenti l’impiego di pesticidi e diserbanti, che di frequente si rivelano dannosi sia per la nostra salute che per i terreni agricoli.

L’agricoltura biologica sarebbe in grado di garantire, da sola, il fabbisogno alimentare di una popolazione mondiale crescente? A riaprirle il dibatto su di un tema tanto delicato quanto attuale, interviene un articolo pubblicato di recente tra le pagine della nota rivista Nature, volto a comparare la resa produttiva dell’agricoltura biologica rispetto ai metodi di coltivazione convenzionali, comprendenti l’impiego di pesticidi e diserbanti, che di frequente si rivelano dannosi sia per la nostra salute che per i terreni agricoli.

Su Nature vengono immediatamente posti in luce due aspetti fondamentali relativi alla produzione internazionale di cibo a livello agricolo. Dapprima si prende in considerazione la svolta degli anni più recenti, in merito alla volontà di fondare l’agricoltura su sistemi di coltivazione che permettano il pieno rispetto dell’ambiente, dei terreni coltivati, dell’uomo e di tutti gli esseri viventi. Successivamente l’attenzione viene rivolta a quello che, secondo coloro che si mostrano avversi ai metodi biologici di coltivazione, viene presentato come un vero e proprio paradosso: per assicurare nel tempo una produzione pari a quella ottenuta tramite metodi convenzionali, l’agricoltura biologica avrebbe la necessità di occupare porzioni di territorio sempre maggiori, causando una deforestazione ed una perdita di biodiversità ancora più ampia del dovuto.

Si potrebbe parlare, a questo punto, di paradosso nel paradosso. L’agricoltura biologica ha infatti tra i propri scopi principali la preservazione di varietà agroalimentari che rischiano di scomparire sotto il giogo della standardizzazione dei prodotti immessi sul mercato dall’agricoltura intensiva, e risulta dunque difficile credere che essa si possa rendere responsabile in futuro di fenomeni come l’abbattimento di foreste caratterizzate da biodiversità animale e vegetale a dir poco unica, al fine di proseguire la propria espansione.

Appare interessante il punto di vista espresso sul tema da Dario Bressanini su L’Espresso, il quale suggerisce come in futuro, una volta superato lo sterile dibattito e prese le mosse per operare sul piano concreto, si rivelerà necessario individuare soluzioni tecnologiche in grado di agire nel rispetto di esigenze economiche, sociali, ambientali e sanitarie nell’ambito della produzione del cibo. Sarebbe però necessario tenere in considerazione come la stessa agricoltura convenzionale si stia già aprendo da anni a metodi di prevenzione degli attacchi delle colture da parte di insetti e parassiti attraverso sistemi di “lotta integrata” e tramite interventi oculati, volti ad impiegare sostanze chimiche in maniera non casuale ed esclusivamente al momento del bisogno. È la stessa agricoltura convenzionale che, dunque, in alcuni casi virtuosi, strenne muovendo dei passi fondamentali nel rispetto dei terreni e degli ecosistemi.

Probabilmente, proseguire lungo un percorso oculato e bilanciato, ma sempre favorevole alla tutela dell’ambiente e del territorio, potrebbe rappresentare una soluzione efficace al fine di garantire una produzione alimentare in grado di soddisfare il fabbisogno dei 9 miliardi di persone che popoleranno il Pianeta nel 2050, anche tenendo conto del fatto che non sempre le rese dell’agricoltura biologica si rivelano sensibilmente inferiori a quelle dei metodi convenzionali. Nel caso della frutta, le rese sarebbero inferiori di circa il 3%, mentre appaiono più complesse le questioni relative ad ortaggi e cereali, con rese inferiori rispettivamente del 33% e del 26%, un calo dovuto spesso alla scarsa disponibilità di azoto e fosforo in alcuni terreni.

Un problema risolvibile grazie a metodi non invasivi? E, se nell’ottica di sfamare davvero l’intera popolazione mondiale, si iniziasse a ripensare seriamente ad una ridistribuzione delle risorse alimentari realmente equa e a metodi di coltivazione che permettano a ciascuno, anche con spazi ristretti a propria disposizione, di avvicinarsi all’autosufficienza alimentare attraverso l’autoproduzione casalinga di una parte cospicua degli alimenti vegetali necessari a soddisfare le esigenze alimentari di ognuno?

Marta Albè

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