Energia dalla birra? It’s possible!

Dalla birra è possibile produrre energia grazie al recupero e riutilizzo degli scarti della filiera di lavorazione delle materie prime, come lieviti, acqua e trebbia.

Se per molti di voi stappare una birra è semplicemente un gesto inconsueto per lo più legato a rituali antropologici metropolitani, ebbene, dovete ricredervi. Sì, perché dietro lo spifffff che tanto ci rilassa, eccita, emoziona, fomenta o ci rende allegri c’è un mondo per noi comuni mortali ancora sconosciuto: dalla birra si produce energia.

A mettere la classica pulce nell’orecchio è stata l’economia circolare, filosofia che immagina un sistema economico capace di rigenerarsi da solo; invero, più che la birra in sé è la sua filiera a creare le condizioni affinché si possa ricavare energia dal recupero degli scarti di lavorazione della bevanda.

A sostenere questa tesi è il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura (CREA) attraverso il progetto Birraverde della Rete Rurale Nazionale, secondo cui il 90% degli scarti delle materie prime impiegate nella filiera di produzione della birra può essere recuperato e riutilizzato.

Trebbie, lieviti esausti e acque di processo possono tornare nuovamente utili; proprio le trebbie, se essiccate, possono diventare pellet ed essere impiegate nuovamente nel ciclo produttivo della birra o del biochar (carbone vegetale) perché, sempre secondo il CREA, le trebbie contengono un alto contenuto di carbonio e idrogeno e sono pertanto custodi di un elevato potere calorifico.

Dall’Europa agli Stati Uniti la ricerca prende altre strade, ma sempre con il fine di sperimentare nuove soluzioni energetiche. All’Università del Colorado alcuni ricercatori stanno sperimentando nuove tecniche di accumulo di energia ispirandosi alla biomimesi, disciplina che studia i processi della natura come fonte di ispirazione per l’innovazione tecnologica e il miglioramento delle attività umane. In pratica, i ricercatori Zhiyong Jason Ren e Tyler Huggins hanno attivato un processo di bioproduzione che impiega una muffa, la Neurospora crassa, coltivata nelle acque reflue dei birrifici, con il fine di creare materiali a base di carbonio necessari alle celle elettrochimiche.

Il risultato è interessante; basti pensare che per realizzare un barile di birra sono necessari ben sette barili di acqua, che invece di essere scartata e avviata ad un lungo processo di filtraggio viene, invece, impiegata nuovamente per la coltivazione della muffa. Si riducono così i costi di smaltimento e si ottengono incubatori di biomateriali per i produttori di batterie.

Il risultato? Efficienti batterie al litio di derivazione naturale. Se applicati su larga scala, le fabbriche di birra potrebbero ridurre i costi di produzione legati allo smaltimento dei rifiuti e al consumo di energia.

Non solo pellet o batterie. Gli scarti della lavorazione della birra possono essere trasformati anche in biogas. Un esempio viene dalla cittadina di Southwold, nella contea di Suffolk nell’Inghilterra orientale, dove circa 200 abitazioni private sono riscaldate con energia prodotta dalla raffinazione degli scarti di lavorazione della birra, attraverso il processo della digestione anaerobica. Con circa 300 litri di birra è possibile produrre biogas per riscaldare una casa per un’intera giornata, mentre gli scarti della lavorazione dell’orzo vengono riutilizzati per concimare i campi.

Che dire, la birra è fantastica, non solo perché amica di tanti momenti della nostra vita, ma anche perché è una fonte di energia inestimabile; pertanto, al prossimo spifffff che sentirete mentre aprite una bottiglia pensate che davvero nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma… in energia.

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