Salmone e antibiotici

Lo sai come viene allevato questo pesce ? Ti spiego cosa accade in Cile, quanti antibiotici vengono usati e come vengono inquinate le acque.

Esistono 10 buoni motivi più che convincenti per non mangiare salmone, motivi da scoraggiare anche i consumatori più accaniti. Tuttavia, se proprio non volete cedere al richiamo del sushi e dell’All You Can Eat, dovete essere consapevoli che, insieme al salmone, accettate di abbuffarvi anche di antibiotici e di un’ampia serie di vere e proprie schifezze.

Le news sull’argomento non lasciano dubbi: l’industria cilena del salmone (e si parla proprio di industria, neanche di allevamento) è stata fortemente criticata per l’ampio uso di antibiotici, utilizzati con una percentuale 500 volte superiore rispetto a quella in uso in Norvegia, primo produttore al mondo di salmone.

Liesbeth van der Meer, direttrice ad interim del gruppo ecologista Oceana Chile, riporta con allarme questi dati, auspicando una limitazione nell’uso di antibiotici. Su 846 163 tonnellate di salmone prodotte nel corso del 2015, i medicinali iniettati hanno raggiunto le 557,2 tonnellate, con uno 0,066% per ogni singolo pesce. Rispetto al 2010 la produzione si è addirittura raddoppiata, facendosi così intensiva da sottoporre gli animali a livelli di stress talmente elevati da minarne la salute. Le condizioni in cui vivono sono tutt’altro che igieniche, i pesci nuotano tra materiale biologico di vario tipo e tra i loro stessi escrementi, in spazi ridotti e in totale assenza di pulizia delle reti. Ovviamente questo è l’humus ideale per lo sviluppo e la diffusione degli agenti patogeni.

Il salmone cileno, in particolare, è soggetto all’attacco del Piscirickettsia salmonis, che provoca la sindrome rickettsial setticemia e che, solo nel 2015, ha causato il 78,9% di morte o di impiego di medicinali nei salmoni cileni.

Naturalmente antibiotici e altri farmaci somministrati ai salmoni si diffondono nell’ambiente e vanno a creare una pericolosissima resistenza agli antibiotici. L’immediata conseguenza di tutto questo è la nascita di super batteri responsabili di malattie incurabili. Il giro d’affari che ruota intorno al salmone cileno è di 3,5 miliardi di dollari all’anno e i pesci contaminati dall’agente patogeno, che nel 2007 ha devastato la popolazione, sono stati buttati in mare aperto, inquinando un’area vastissima.

Meglio, dunque, rinunciare a consumare salmone? Sicuramente è preferibile non portarlo quotidianamente e neppure settimanalmente in tavola, anche perché questa abitudine alimentare ha causato la quasi totale estinzione del salmone selvatico e, come abbiamo visto, condizioni di allevamento industriale intensivo assolutamente folli. I pesci che possono degnamente sostituire il salmone, anche per quanto riguarda il sushi, sono davvero tantissimi. Per saperne di più le guide sull’acqua-coltura e quella sulla pesca sostenibile divulgate da Slow Food sono decisamente esaurienti. Slow Fish, campagna promossa dal gruppo, coinvolge i pescatori artigianali, promuove una maggiore sostenibilità della pesca e aiuta a comprendere meglio gli oceani. Ogni due anni, grazie a un evento molto atteso, delizia il palato di tutti noi con pesci eccellenti, sani, puliti e, cosa che non guasta mai, giusti.

Per eventuali approfondimenti sulla storia del salmone cileno si può leggere Greenberg P., Four Fish, il futuro dell’ultimo cibo selvatico, 2012, Slow Food, Bra.

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