Dall’Università di Bolzano ecco come riciclare la polvere di caffè delle capsule

Polvere di caffè delle vecchie cialde. Perché sprecarla? I ricercatori di Bolzano scoprono un riutilizzo eco-sostenibile: usarla per l’estrazione di antiossidanti e lipidi naturali per l’industria alimentare!

Polvere di caffè delle vecchie cialde. Perché sprecarla? I ricercatori di Bolzano scoprono un riutilizzo eco-sostenibile: usarla per l’estrazione di antiossidanti e lipidi naturali per l’industria alimentare!

È così che alla Facoltà di Scienze e Tecnologie il team di ricerca in Scienze e Tecnologie alimentari, coordinato dal prof. Matteo Scampicchio, ha realizzato uno studio che punta a ridurre i rifiuti prodotti dall’uso di capsule e cialde.

“Mai una pausa caffè fu tanto proficua. Mentre tra colleghi sorseggiavamo il nostro espresso ottenuto con una macchinetta come quelle che ora vanno di moda sia negli uffici che nelle case, abbiamo scherzato sul senso di colpa indotto dalla mole di packaging che, caffè dopo caffè, occorre smaltire”, afferma il prof. Scampicchio, “allora, quasi come sfida, ci siamo chiesti se, oltre a riciclare l’alluminio o la plastica, sia possibile recuperare anche le cialde esauste”.

Come sappiamo, e abbiamo scritto negli anni passati, esistono già progetti di recycling o di creazione di capsule compostabili. Ma nessuno finora aveva pensato è come reimpiegare la polvere di caffè esausta, una volta preparato il caffè espresso.

Così il team ha svuotato dieci chilogrammi di cialde di scarto della macchinetta dell’ufficio e ne ha travasato il contenuto nel reattore dell’impianto a CO2 supercritica presente presso i laboratori di Unibz.

gruppo di ricerca food prof. matteo scampicchio foschungsgruppe food

“L’anidride carbonica funziona da solvente e fluisce nella matrice attirando e portando con sé le sostanze affini. Queste, nello stadio finale vengono separate dalla CO2, che ritorna a uno stato gassoso”, spiega la ricercatrice Giovanna Ferrentino. Il procedimento di recupero delle cialde usate potrebbe essere sfruttato su larga scala per ottenere, come in laboratorio, sia antiossidanti che lipidi, sostanze utili per l’industria alimentare per sostituire, ad esempio, l’olio di palma“.

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Lo studio è stato pubblicato sulla rivista statunitense Journal of Thermal Analysis and Calorimetry.

Roberta Ragni

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