Refugee ScART: quando i rifugiati trasformano la plastica in piccole opere d’arte

Un progetto umanitario volto a salvare la vita dei rifugiati attraverso il riciclo della plastica, che si trasforma in una vera e propria arte. Si tratta di Refugee scART, (spostamenti coraggiosi Aiutando Riciclo Terra), iniziativa promossa a Roma dalla Spiral Foundation Onlus, in collaborazione con il Centro Astalli, Binario 95 e Laboratorio 53. A partire dalla scorsa estate, un gruppo di rifugiati provenienti da diversi Paesi dell’Africa è stato coinvolto nella raccolta della plastica abbandonata lungo le strade o inutilizzata e della sua lavorazione artigianale per la creazione di accessori ed oggetti d’uso quotidiano dall’aspetto davvero gradevole.

Un progetto umanitario volto a salvare la vita dei rifugiati attraverso il riciclo della plastica, che si trasforma in una vera e propria arte. Si tratta di Refugee scART, (spostamenti coraggiosi Aiutando Riciclo Terra), iniziativa promossa a Roma dalla Spiral Foundation Onlus, in collaborazione con il Centro Astalli, Binario 95 e Laboratorio 53. A partire dalla scorsa estate, un gruppo di rifugiati provenienti da diversi Paesi dell’Africa è stato coinvolto nella raccolta della plastica abbandonata lungo le strade o inutilizzata e nella sua lavorazione artigianale per la creazione di accessori ed oggetti d’uso quotidiano dall’aspetto davvero gradevole.

Il progetto, che si è dimostrato in grado di donare una nuova e migliore prospettiva di vita alle persone coinvolte, è nato da un’idea della ex docente di Storia dell’Arte Rinascimentale dell’Università di Los Angeles Marichia Simcik Arese, che ha messo a disposizione dei rifugiati in attesa di asilo politico tutti gli strumenti necessari per liberare la loro vena creativa. Nei soli primi quattro mesi di vita del progetto, sono stati recuperati oltre sei quintali di plastica proveniente da luoghi differenti, quali negozi, supermercati e centri d’accoglienza.

Marichia ha rivelato di essere stata sempre attratta dai rifiuti, come fonte di una possibile forma d’arte, fin da quando viveva negli Stati Uniti. È così che, quindici anni fa, ha pensato di unire le proprie conoscenze artistiche ad un maggiore impegno in ambito ambientale, ecologico e sociale, dando il via a progetti di riutilizzo dei rifiuti per la creazione di oggetti artistici, i cui ricavati sono tuttora interamente destinati al sostentamento di piccoli artigiani che si trovano in condizioni svantaggiate. In Vietnam e Nepal, ad esempio, progetti simili sono stati avviati sulla base della volontà di garantire un salario equo a tutti coloro che avevano deciso di unirsi alla produzione di manufatti destinati alla vendita.

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In Italia, dopo la presentazione dell’iniziativa, che ha ricevuto il sostegno dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nove di questi ultimi hanno deciso di aderirvi spontaneamente, per avere l’occasione di trascorrere del tempo in maniera costruttiva al di fuori dei centri d’accoglienza che a Roma li ospitavano durante la notte. Cimentarsi nel creare oggetti a partire dai materiali di scarto ha permesso loro di lasciare emergere il senso estetico proveniente dalle diverse culture. Ognuno è stato lasciato libero di assemblare i materiali e di comporre oggetti a proprio piacimento e secondo il gusto personale.

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Il gruppo di rifugiati ha così imparato, attraverso la pratica artigianale, un vero e proprio mestiere, un’arte che potrà essere approfondita nel corso del tempo ed insegnata ad altri gruppi di persone, in modo che la capacità di riciclare creativamente i materiali di scarto possa diffondersi in maniera sempre più capillare, trasformandosi inoltre in un’opportunità di riscatto sociale.

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Gli artigiani, negli scorsi mesi, si sono riuniti ogni girono a lavorare, dalla mattina fino al tardo pomeriggio, in locali messi a disposizione gratuitamente a Roma dai Gesuiti di Sant’Andrea. La loro attività è stata spesso interrotta da piccole lezioni d’arte, sotto la guida della stessa Marichia. È così che sono nati bicchieri, sottopiatti, gioielli, segnalibri ed accessori di varie fogge, coloratissimi e tutti realizzati a partire dalla plastica riciclata.

I rifugiati, che spesso hanno raggiunto il nostro Paese via mare, rischiando la vita, hanno potuto offrire un aiuto economico ai famigliari rimasti in patria proprio grazie alla loro attività artigianale, attraverso la quale hanno ricominciato letteralmente da capo la loro vita. La nostra speranza è dunque che tale progetto possa estendersi al di fuori della capitale e che iniziative simili possano essere intraprese in diverse regioni italiane, in nome di una rinnovata solidarietà verso il prossimo e di un ritrovato rispetto per l’ambiente.

Marta Albè

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