L’Eco-Tessuteca: l’archivio dei tessuti eco-sostenibili

L’idea è venuta nelle aule della Scuola NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, che nell’ambito del corso di studio in Design del Tessuto e dei Materiali ha intrapreso un percorso di ricerca, analisi e classificazione dei materiali ecosostenibili.

È nella natura dell’uomo catalogare, classificare, archiviare. Si tratta di un meccanismo naturale che si attiva ogni qual volta si ha la necessità di mettere dei punti fermi a situazioni, le più diverse, che appaiono caotiche o poco controllabili. Se ne ottiene spesso un principio di regolamentazione che serve per ordinare ciò che sembra non esserlo. Negli ultimi anni questa stessa necessità è emersa nel mondo alimentare, a seguito della proliferazione delle provenienze del cibo e per controllarne la sicurezza, nel mondo dei materiali, per identificare ciò che è innovativo da ciò che rispecchia canoni produttivi tradizionali, nel mondo degli elettrodomestici per favorire coloro che rispettano determinati criteri energetici. Da qualche mese è la volta dei tessuti.

L’idea è venuta nelle aule della Scuola NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, che nell’ambito del corso di studio in Design del Tessuto e dei Materiali ha intrapreso un percorso di ricerca, analisi e classificazione dei materiali ecosostenibili.

Edmondo Erba, docente di Cultura dei Tessuti, racconta come: “anche quello dei tessuti sia un sistema in cui difficilmente si riescono a ricostruire i passaggi che hanno condotto al prodotto finito e le modalità di trattamento. Il Paese in cui è stata raccolta la materia prima è, spesso, molto lontano dal luogo in cui è stata trattata, che a sua volta è dall’altra parte del mondo rispetto a dove è stato tinta e così continuando”. A partire da queste difficoltà, conoscere i vari passaggi della filiera e garantirne una sorta di tracciabilità non è impresa facile. “Questo – prosegue il Prof. Erba – potrebbe però aiutare l’industria a sentirsi maggiormente tutelata e valorizzata dal mercato poiché si potrebbe riconoscere la differenza tra chi agisce in modo etico e chi no”.

In questa direzione gli studenti di NABA hanno cominciato a muovere i primi passi. 150 sono, al momento, i tessuti individuati e catalogati.

La catalogazione distingue tre tipologie di tessuti: organici, riciclati e innovativi:

  • Gli organici raccolgono tutti quei tessuti derivati da materia prima come lana, cotone o canapa. Purché non sia stata trattata da agenti chimici. “Il 25% dei pesticidi viene usato per le piantagioni di cotone. Questo – continua il Prof. Erba – ci deve far alzare le antenne di fronte alla definizione di naturale, che spesso non equivale a ecologico”.
  • Tra i tessuti riciclati si inseriscono tutte quelle texture derivate da materia prima di seconda generazione. La rigenerazione in campo tessile è pratica di antica tradizione che oggi assume connotazioni diverse: capita, infatti, che un tessuto come il pile venga prodotto dalle bottiglie di plastica o che uno come il jersey provenga dalla distruzione e rigenerazione dei vecchi jeans.
  • Fanno parte dei tessuti innovativi tutte quelle texture derivate invece da specifici campi di ricerca. Rispondono all’obiettivo di rendere il vestire autonomo dal cotone, a cui oggi è destinato il 48% della superficie coltivata mondiale.
  • In questa direzione, la fibra di latte rappresenta un esempio di tecnologia di lunga data recentemente riscoperta. In Italia, alcune aziende del bergamasco hanno valutato l’opportunità di deviare l’uso e la commercializzazione del latte per scopi industriali diversi dalla vendita del prodotto liquido. Le proteine del latte consentono infatti di ottenere tessuti simili al cotone, ma al tatto decisamente più morbidi e impalpabili.

La billa cellulosa è un altro esempio di particella derivante dalla cellulosa dei pioppi che va nella direzione di trovare nuove risorse produttive. Molto diffusa in India, è utile per tessere leggere viscose.

Infine l’ingeo©, polimero derivante dalla soia, del tutto simile a quello del poliestere, materiale presente in circa il 60% delle fibre tessili in commercio e prodotto a seguito di un lungo trattamento sul petrolio. La sostituzione del petrolio con la soia se, da un lato, potrebbe garantire una maggiore autonomia da una risorsa che sappiamo essere limitata, dall’altro pone di fronte alla difficoltà di dirottare grandi quantità di materia prima che in molti paesi è alla base dell’alimentazione. “Se da un lato apprezziamo il potenziale tessile della soia dall’altro ci scontriamo con il suo peso geopolitico” commenta il Prof. Erba, che vede comunque positivamente il grande sviluppo di una ricerca attenta al tessile.

In questo quadro complesso e affascinante si inserisce, last but not least, il consumatore a cui la tessuteca si rivolge con lo scopo, nel medio lungo periodo, di garantire la presenza su tutti i tessuti di un’etichetta che identifichi le caratteristiche produttive e non solo quelle di manutenzione degli abiti che acquistiamo.

Pamela Pelatelli

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