Dagli scarti tessili nascono componenti di arredamento, così Nazena ricicla i vestiti usati

Upcycling, riutilizzo creativo, economia circolare: sono termini che stanno diventando sempre più familiari anche nel settore della moda

Upcycling o riutilizzo creativo, un processo di trasformazione dei materiali di scarto per creare oggetti ai quali dare una lunga vita nel rispetto dell’ambiente. Questo è quello che inizia ad accadere nel settore della moda, a piccoli significativi passi dove c’è chi, ad esempio, trasforma stoffe inutilizzate in componenti di arredamento.

L’imprenditrice Giulia De Rossi è la mente di Nazena, una start up vicentina che ha proposto ad alcune aziende tessili di gestire scarti di produzione o di post-consumo che viene raccolto, sanificato, suddiviso per tipologia e colore prima di essere nuovamente fruibile sotto diverse forme. Il risultato è un materiale, brevettato, composto al 90% da scarti di vecchi vestiti e dal 10% da collanti naturali non inquinanti: si possono così realizzare pannelli acustici, complementi d’arredo, scatole, espositori e allestimenti eco-friendly.

Nazena rappresenta una delle novità e delle grandi promesse del settore, riconosciuta come tale dalla competizione Startcup Trentino, dal Global Start Up Program, programma di accelerazione internazionale organizzato da Agenzia ICE su indicazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Inoltre è una delle tre realtà di settore italiane selezionare per il prestigioso Green Alley Awards.

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L’attenzione che si sta sviluppando attorno al binomio moda e upcycling sta crescendo: gli stilisti emergenti hanno tra i loro valori quelli di una produzione più attenta e meno invasiva; diverse aziende stanno percorrendo la stessa strada si Nazena per produrre, ad esempio, carte pregiate oppure tinture. Inoltre fashion designer molto noti hanno capito che devono intraprendere questa direzione senza cortine di greenwashing.

E poi c’è un’altra categoria ancora, quella di alcuni brand noti per la loro economicità, che asseriscono di aver invidiato come data quella del 2030 per azzerare la produzione nociva o per usare materiali provenienti da fonti pulite e diminuire sensibilmente le emissioni di CO2.

Di certo occorre calibrare l’eccessiva produzione della fast fashion per frenare la facilità con cui si acquista e getta via un indumento che diventa spazzatura in pochissimo tempo. Secondo i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, un cittadino europeo consuma in media circa 26 kg di prodotti tessili l’anno e ne elimina 11 kg. A volte finiscono in discarica, a volte compiono dei giri immensi e ingrossa le discariche abusive a cielo aperto in paesi per noi lontani. L’Unione Europea ha pertanto deciso di accelerare la transizione verso un’economia circolare anche nel settore tessile: si pone l’attenzione sia all’innovazione che al riciclo, come prevede una nuova direttiva sulla raccolta differenziata e smaltimento dei rifiuti tessili, oltre a porre l’accento sull’elevato utilizzo di fibre sintetiche e altamente inquinanti come il poliestere nella moda “usa e getta”.

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Fonti: Nazena; Parlamento europeo; Commissione Europea

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