La modatossica: Zara, Armani e Benetton tra i 20 marchi sotto accusa da Greenpeace

Greenpeace, Detox 2012. Attenzione ai capi d'abbigliamento di alcune delle più note case di moda e catene di negozi diffuse in tutto il mondo, anche in Italia. Alcuni di essi possono infatti rilasciare nell'ambiente sostanze nocive in grado di interferire con gli ormoni umani o di provocare il cancro. Si tratta delle accuse lanciate da parte di Greenpeace International attraverso la campagna "Detox 2012".

La moda è ancora tossica. Attenzione ai capi d’abbigliamento di alcune delle più note case di moda e catene di negozi diffuse in tutto il mondo, anche in Italia. Alcuni di essi possono infatti rilasciare nell’ambiente sostanze nocive in grado di interferire con gli ormoni umani o di provocare il cancro. Si tratta delle accuse lanciate da parte di Greenpeace International attraverso la campagna “Detox 2012”.

I marchi d’abbigliamento sotto accusa sono alcuni tra i più noti, molti dei quali si trovano presenti nel nostro Paese in numerosi punti vendita. Si tratta di nomi di spicco, come si evince dal seguente elenco: Benetton, Jack & Jones, Only, Vero Moda, Blažek, C&A, Diesel, Esprit, Gap, Armani, H&M, Zara, Levi’s, Victoria’s Secret, Mango, Marks & Spencer, Metersbonwe, Calvin Klein, Tommy Hilfiger, and Vancl.

Sostanze chimiche pericolose sono state individuate da parte di Greenpeace tramite analisi di laboratorio degli indumenti provenienti da un totale di 20 marchi di abbigliamento, tra i quali emerge negativamente il nome di Zara, l’unico tra i marchi in alcuni dei cui capi d’abbigliamento sono state individuate sostanze chimiche sia in grado di agire negativamente sugli ormoni, sia ritenute cancerogene.

All’interno del dossier “Toxic Threads – The Big Fashion Stitch-Up”, Greenpeace riporta I dati relative ai 141 capi d’abbigliamento analizzati e spiega la correlazione tra l’impiego di sostanze chimiche pericolose nelle fasi di produzione degli abiti e la loro permanenza nei tessuti una volta che ogni abito è stato ultimato.

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Chi acquista e indossa gli abiti provenienti da alcuni dei marchi in voga del momento, rischia di trasformarsi in una “Fashion Victim” nel vero senso della parola. I rischi sono in particolare legati alla propagazione di sostanze tossiche nell’ambiente attraverso il lavaggio dei capi d’abbigliamento. Esse raggiungono in questo modo i mari e le acque di tutto il mondo, diffondendosi nell’ecosistema.

Ciò che stupisce maggiormente è che per ogni marchio preso in considerazione, sono stati testati ed individuati numerosi indumenti che hanno rivelato il proprio contenuto di sostanze nocive. La loro permanenza negli abiti ed il loro utilizzo industriale può rivelarsi rischioso sia per coloro che li indosseranno, sia per chi lavora o vive accanto alle fabbriche di produzione degli stessi.

I capi sottoposti alle analisi da parte di Greenpeace e risultati contenenti sostanze nocive sono di vario genere e comprendono: biancheria intima per uomo, donna e bambino, pantaloni, jeans, giacche, t-shirt, abiti da donna e vestiti destinati ad ogni tipo di persona per ogni fascia d’età, venduti sia a caro prezzo che ad un costo contenuto. Greenpeace richiede alle aziende della moda sotto accusa di agire immediatamente per arginare il problema, eliminando le sostanze chimiche nocive ed inquinanti utilizzate nelle fasi produttive dei loro capi di abbigliamento.

Marta Albè

– Scarica qui il dossier di Greenpeace “Toxic Threads: The Big Fashion Stitch-Up“.
– Scarica qui il relative report tecnico.

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