Guardaroba: quei 22 abiti che non mettiamo più

In ogni guardaroba femminile ci sono in media 22 abiti che non vengono indossati. Lo comunica una ricerca fatta da un noto canale di shopping inglese, QGossip. Alla domanda in merito a quanti capi di abbigliamento sono conservati nell’armadio e mai indossati, le donne hanno cominciato a snocciolare minigonne, maglioncini e abiti da sera da far impallidire un negozio dell’ usato.

In ogni guardaroba femminile ci sono in media 22 abiti che non vengono indossati. Lo comunica una ricerca fatta da un noto canale di shopping inglese, QGossip. Alla domanda in merito a quanti capi di abbigliamento sono conservati nell’armadio e mai indossati, le donne hanno cominciato a snocciolare minigonne, maglioncini e abiti da sera da far impallidire un negozio dell’ usato.

L’88% confessa che il capo che soffre maggiormente di abbandono precoce è il jeans. Troppo difficile da indossare appena il corpo cambia e prende qualche chilo. A questo dato fa da contraltare un 41% che confessa di continuare a conservare ciò che non indossa nella speranza di dimagrire un po’. Mentre il 17% spera che una nuova ondata di moda faccia tornare in auge ciò che ora sarebbe indossabile.

Alla fine ne fanno le spese giacche abbandonate sulle grucce per anni, pantaloni appesi a testa in giù con l’etichetta ancora attaccata e camice ben stirate, infilate sotto la pila dei maglioni per non essere viste. Poi non mancano certo le scarpe all’appello. Una donna su cinque confessa di avere almeno sei paia di scarpe di cui non riesce a liberarsi.

Inoltre, se pensavate che le donne fossero delle inguaribili spendaccione, avete sbagliato. Contrariamente a ciò che il senso comune ci trasmette, gli uomini lasciano nell’armadio in media 19 abiti.

Ma perché continuare a tenere abiti che non vengono usati o alimentare aspettative su quando verranno indossati? Senso di colpa, ovvio. Spesso dietro un abito che non ci piace c’è un acquisto sbagliato, non ponderato, fatto in fretta e senza le giuste valutazioni. Presi dal desiderio o da un appuntamento o dalla voglia di qualcosa di diverso, ci si fionda nel primo negozio alla ricerca di qualcosa che lenisca l’ansia.

Ma se un attimo dopo l’acquisto sembra che tutto fili per il meglio, una volta a casa ciò che ci sembrava di aver visto dallo specchio del camerino non corrisponde più a quello che è riflesso nello specchio della stanza da letto.

Viene da guardare subito nell’armadio e vedere di quanti abiti siamo colpevoli. I dati dell’Istat riflettono l’immagine di un Paese che investe il 63% della sua spesa media in abbigliamento. Oltre la metà delle spese che sosteniamo vanno in nuovi capi. I genitori considerano primarie le questioni legate al vestiario dei propri figli.

Difficile pensare che un Paese in cui l’abbigliamento è diventato arte, in cui la moda è percepito come un valore nazionale possa andare diversamente. I dati degli ultimi saldi in realtà riflettono una flessione sui consumi che colpisce soprattutto i settori dell’abbigliamento. Sono proprio le grandi città, inoltre, quelle in cui il dato negativo è maggiormente evidente. La crisi colpisce i settori non indispensabili e chissà che il merito di questo saldo non sia anche la diffusione di pratiche di recupero e riutilizzo degli abiti.

Esistono innumerevoli modi e opportunità con cui dare nuova vita a un abito vecchio: dai swap party al taglio e cucito, dai laboratori sartoriali alla rielaborazione domestica e creativa. Fino al vecchio metodo della donazione. Perché se non sono destinati a essere indossati da voi, che almeno lo siano per qualcun altro.

Pamela Pelatelli

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