H&M si dichiara green ma il cotone è OGM

H&M è nuovamente sotto i riflettori del giornalismo d'inchiesta, sembra che più del 30% dei capi della nuova collezione primavera/estate 2010 sia stato realizzato con cotone geneticamente modificato.

H&M è nuovamente sotto i riflettori del giornalismo d’inchiesta.  Dopo la notizia riportata dal New York Times sull’opinabile scelta di dare letteralmente un taglio ai capi di abbigliamento per i saldi di inizio anno, la nota marca svedese ha lanciato una collezione sostenibile primavera/estate 2010 in cotone biologico che di sostenibile, ma sopratutto biologico, sembra avere ben poco.

 

A dirlo è l’edizione tedesca del Financial Times che riporta i dati delle analisi eseguite dal laboratorio indipendente Impetus, diretto dal Dottor Lothar Kruse, su alcuni campioni di cotone utilizzato dal brand scandinavo per la nuova linea di abbigliamento.

Sembrerebbe che più del 30% dei capi sia stato realizzato con cotone geneticamente modificato. Un bel problema dopo la promessa di abiti green, dai colori naturali, stile figli dei fiori ma soprattutto prodotti utilizzando materiali organici e riciclati al 100%.

La direzione di H&M ha ammesso la possibilità di un errore, dissociandosi però dalle ipotesi di intenzionalità emerse in questi giorni. La patata bollente quindi è stata passata ai produttori, l’India, notoriamente una delle maggiori esportatrici di cotone biologico su scala mondiale. L’autorità indiana per l’agricoltura, Apeda, presa in causa dalla stessa H&M, ha denunciato una frode su larga scala accusando a sua volta Peterson Control Union ed EcoCert, agenzie di certificazione della qualità internazionali, di aver etichettato come organico cotone che non lo era.


Come risposta le due accusate si sono difese affermando che in nessuna delle aziende di cotone erano stati trovati semi geneticamente modificati.

Sembra che la catena di produzione e distribuzione del cotone certificato sia ancora troppo debole, e non è la prima volta che assistiamo a fenomeni di questo genere. Vi ricordate il problema del pellame non certificato denunciato da Greenpeace nel rapporto “Amazzonia che Macello”?

Servono regole più rigide e controlli più severi e, aggiungiamo, un’etica coerente con le dichiarazioni rilasciate dalle grandi marche internazionali. Il fenomeno del greenwashing, sfruttato ampiamente da aziende e compagnie sulla scia dell’appeal verde, è solo una falsa promessa rivolta a consumatori disinformati.

Serena Bianchi



 

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