Avon Cruelty free? No testa i cosmetici sugli animali in Cina e la Peta la elimina dalla lista

“Nel 1989 Avon è stata la prima multinazionale produttrice di cosmetici a cessare definitivamente di compiere esperimenti sugli animali per provare la sicurezza dei prodotti. Avon non testa le sostanze sugli animali, né chiede a terzi di farlo per proprio conto”. È questo ciò che si legge sul sito della famosa ditta di cosmetici. Ma è davvero così? Non secondo la PETA, che ha scoperto che la Avon ,insieme a Estée Lauder e Mary Kay, tutte e tre aziende che vengono inserite spesso nelle liste cruelty-free stanno comunque testando sugli animali in Cina.

Nel 1989 Avon è stata la prima multinazionale produttrice di cosmetici a cessare definitivamente di compiere esperimenti sugli animali per provare la sicurezza dei prodotti. Avon non testa le sostanze sugli animali, né chiede a terzi di farlo per proprio conto”. È questo ciò che si legge sul sito della famosa ditta di cosmetici. Ma è davvero così? Non secondo la PETA, che ha scoperto che la Avon ,insieme a Estée Lauder e Mary Kay, tutte e tre aziende che vengono inserite spesso nelle liste cruelty-free stanno comunque testando sugli animali in Cina.

Attualmente, infatti, il governo cinese richiede sperimentazione animale per i prodotti di bellezza venduti in nel proprio Paese. “Pur comprendendo che la Cina è un mercato enormespiega Peta- che queste aziende non sono disposte a ignorare, avevamo sperato che avrebbero comunque agito per eliminare tale esigenza o spingere per sostituire i test sugli animali come condizione necessaria. Mary Kay aveva intrapreso i primi passi per lavorare con i funzionari in Cina, e, sotto nostra sollecitazione, ha promesso di continuare questo sforzo, ma Avon e Estée Lauder sembrano aver assecondato del tutto i dolorosi est sugli animali senza obiezioni”.

Per questo, al di là delle loro dichiarazioni, sono state rimosse dalla “Don’t test list” dell’Associazione animalista d’oltreoceano: nessuno di queste società può avere l’etichettatura “cruelty free”. Allora che fare? Smettere di acquistare i loro prodotti di queste società è l’unico rimedio per non rendersi complici delle violenze che subiscono gli animali. Ma in realtà, per correggere davvero questo problema, la vera soluzione risiederebbe nella formazione degli scienziati cinesi, come dichiara di fare la Peta: “sosteniamo finanziariamente gli sforzi dell’Institute for In Vitro Sciences (IIVS), che sta mettendo insieme un gruppo di esperti aziendali per iniziare dei corsi di formazione per gli scienziati in Cina sull’uso di metodi senza test animali che vengono utilizzati negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in gran parte del mondo“.

Ma attenzione, la questione è delicata e complessa e orientarsi nel mondo delle certificazioni “cruelty-free”: la Avon, così come molte altre aziende di cosmetici, dichiara solo che il “prodotto finito non è testato su animali”. Ciò non esclude che gli ingredienti con cui è composto il prodotto siano stati testati su animali e non dà nessuna informazione specifica sui vari componenti.

L’unico modo pratico qui in Italia per capire se un prodotto è davvero cruelty free potrebbe essere, allora, quello di fare riferimento, al superamento, dietro accordo con LAV (Lega Anti Vivisezione), dei controlli eseguiti da ICEA, riconoscibile dal logo con il coniglietto bianco. Le aziende certificate ICEA, e la Avon non lo è, non testano né il prodotto finito, né commissionano test su prodotto finito e ingredienti. E non usano nemmeno gli ingredienti testati dai produttori dopo l’anno di adesione a questa policy.

Roberta Ragni

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