Koan Zen: Chi sono io?

Meditazione consapevolezza intensiva sui Koan Zen

Chi sono io?

Parliamo di noi. La domanda esistenziale che si può porre solo l’uomo, tra gli essere viventi a me conosciuti: chi sono io?

Tra le varie sfaccettature della vita si può arrivare al punto di rendersi conto di non sapere chi veramente si è (la cosiddetta crisi esistenziale, che può avere indubbiamente vari effetti benefici e non richiede per forza il prozac): a questo punto può sorgere la domanda, chi sono veramente io? Possiamo definire chi siamo?

Una donna o un uomo con una visione superficiale potrebbe ripetere il meccanismo automatico di descriversi e identificarsi in base al nome, al proprio corpo, al carattere, alle proprie relazioni, origini sociali, economiche, professionali, ideologiche. Se queste forme ci hanno deluso e non contiamo più su di loro per definirci nella vita, possiamo chiaramente definirle ciò che non è “Io” in termini profondi, ma sono invece tutti elementi superficiali e illusori che possiamo chiamare personalità.

Molti esseri umani hanno intrapreso delle vere e proprie ricerche dentro di sè utilizzando esattamente questa semplice domanda: chi sono io? Una di queste esperienze è quella del Buddhismo Zen, sviluppatosi in estremo oriente dopo l’arrivo di Bodhidharma in Cina nel 500 d.c., ricercatore di verità indiano e patriarca della tradizione buddhista.

Il Koan (oggetto di meditazione) ” chi sono io? “, è utilizzato come meditazione con l’intento di conoscere chi si è nel momento presente.

E’ un intenso sforzo consapevole che non ha a che fare con astrazioni e riflessioni filosofiche, ma semplicemente riconoscersi nella propria totalità vitale nel qui e ora e nel proprio corpo. È un vero e proprio lavoro di comunicazione interna ed esterna.

Spesso i corsi di questo tipo, presenti in Italia in diverse località, si articolano così:

intensivi di consapevolezza di 3 giorni, dove si utilizza il Koan “chi sono io?” in sessioni a coppia, chiamate “diadi”, nella forma “dimmi chi sei?”. Si cambia coppia a intervalli brevi e si pratica il silenzio durante tutta la giornata. Le sessioni di Koan sono intervellate spesso da yoga, meditazioni attive e pratiche energetiche o di scaricamento emotivo.

intensivi di consapevolezza di 7 giorni, con le stesse modalità, dove si utilizzano più Koan, come ad esempio “dimmi cosa è la vita?” o “dimmi cos’è un altro essere umano?”, “dimmi cos’è l’amore?” e dove si ha la possibilità di immergersi a fondo dentro di sé.

Ho personalmente partecipato a due di questi intensivi di 3 giorni e posso dire che hanno contribuito a creare in me uno spazio di silenzio, tranquillità e semplice godimento del momento presente, oltre a portarmi molte intuizioni e comprensioni su miei meccanismi mentali ridondanti e su certe maschere.

Di questo percorso di introspezione, esistono varie forme ed espressioni, viene chiamato Koan nella tradizione zen buddhista, ma è stato usato anche dall‘Advaita Vedanta (scuola indiana del Non-dualismo), sia in percorsi laici. Lo utilizzava Ramana Maharshi, cosiddetto illuminato dell’ultimo secolo, come antidoto all’ignoranza di chi gli chiedeva come illuminarsi; lo utilizzava Gurdjieff, maestro spirituale armeno del 900′, sottoforma di Ricordo di Sè; anche Osho, uno dei più recenti guru spirituali, ne faceva uso come tecnica di risveglio; infine il monaco giapponese Suzuki Roshi fu il principale promotore dei ritiri di meditazione basati sul Koan Zen, in America fin dagli anni 50′. (lo Zen si è poi diffuso da questo momento a macchia d’olio nella cultura occidentale, spesso in modo superficiale e distorto)

“Il Tao che può essere descritto non è il vero Tao.”

– un saggio

Attraverso questa profonda indagine interiore, è stato raccontato che molti individui hanno scoperto la loro VERA natura.

La domanda

E’ un paradosso: io che chiedo a me stesso chi sono, è possibile non saperlo?

Eppure ad un esame più profondo dovremmo accettare che in realtà non sappiamo chi siamo, al di là delle forme e delle espressioni superficiali della “personalità”,

Il pensiero ci divide costantemente dalla realtà; il pensiero crea in continuazione delle forme e un detentore di queste forme l”io”, ma ci chiediamo mai chi sia questo “io”, se verosimilmente siamo proprio noi?!

Porto queste domande senza offrire una risposta diretta, che di fatto non ho: alcuni dicono, come ad esempio U.G. Krishnamurti¹, filosofo indiano del XX sec., che la risposta di fatto non esista, e che l’unica conclusione del quesito possa essere unicamente la “cessazione stessa della domanda”: scomparendo la domanda anche la risposta non necessita di esistere, così anche il processo di “travaglio” esistenziale che crea la sofferenza può scomparire. L’assenza del pensiero sarebbe uno stato non simile a una demenza senile ma piuttosto a un funzionamento del nostro essere su altri livelli, che possiamo definire “illuminati”, “espansi” o come preferiamo, di certo si tratta di una trasformazione totale della nostra vita a livello fisico in primis².

Questo fatto ha a che fare direttamente con il processo del pensiero, ad un’analisi più approfondita possiamo dimostrare che il pensiero continua incessantemente a dividerci dalla realtà e a creare stress, per quanto possa elaborare e concettualizzare anche gli ideali più alti e i sistemi più sofisticati porterà sempre dietro di sè l’incapacità eterna di “unirsi con il tutto”.

“Tra l’individuo e il cosmo c’è un’identità funzionale, che è la fonte dell’anelito dell’uomo a fondersi con il cosmo”

Wilhelm Reich

Forse è proprio questo “io” che il nostro sistema cosciente-cognitivo incessantemente crea e nutre che continua a perpetuare questo sentimento di divisione rispetto all’esistenza e al tempo stesso ci spinge a ricercare una fuga da questa divisione, quello che Reich, psicologo del XX sec., chiama “una fusione con il Cosmo”.

Personalmente non posso che essere d’accordo con U.G. Krishnamurti riguardo alla “scomparsa della domanda esistenziale” come unica reale risposta: gli unici momenti in cui ho sentito di essere realmente erano momenti in cui il pensiero ero scomparso dalla mia esistenza e la vita pulsava in un modo mai vissuto prima.

“Pensando nessuna cosa renderà senza limite il sé limitato.”

– Lord Shiva, dal Vigyan Bhairav Tantra³

Sono convinto che una ricerca intelletto-filosofica non basti a nutrire appieno il potenziale umano, perché tutte le cosiddette ricerche filosofiche si esauriscono nel pensiero stesso e non includono niente al di là di esso. La vostra domanda successiva potrebbe essere allora “come raggiungere uno stato oltre il pensiero, oltre lo stress, oltre la frustrazione, l’ansia e la depressione, uno stato di benessere integrale?”

A mio avviso, se siamo interessati a sapere veramente chi siamo abbiamo bisogno di vie particolari e strumenti come la meditazione, una meditazione corporea che ci ancori nel momento presente e ci aiuti a spegnere ogni nostra ricerca di qualsiasi “stato”, che ci allontana paradossalmente, drammaticamente e comicamente da chi siamo.

Alla prossima,

Bruno

Nota 1: Se questo articolo è scritto continuamente in forma condizionale è con l’unica base sentimentale di proporre una reale domanda interiore, perché ogni risposta somministrata è inutile all’individuo in quanto coscienza.

Nota 2: chiunque sia interessato a specifici argomenti inerenti (consapevolezza, medicina olistica, meditazione, filosofia) può propormi un tema da trattare in un prossimo articolo.

¹ Vedi L’inganno dell’illuminazione di U.G. Krishnamurti

² Si veda L’agenda di Mère che descrive in prima persona le trasformazioni fisico-corporee del salto quantico della coscienza

³ Testo centrale del percorso Tantrico

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