Cannabis: non è più reato coltivarla in casa, arriva la sentenza della Cassazione

Via libera alla coltivazione in casa della cannabis purché in quantità minima e ad uso personale. A stabilirlo, le Sezioni unite della Cassazione che il 29 dicembre scorso hanno deliberato per la prima volta che "non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica.

Via libera alla coltivazione in casa della cannabis purché in quantità minima e ad uso personale. A stabilirlo, le Sezioni unite della Cassazione che il 19 dicembre scorso hanno deliberato per la prima volta che “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica. Attività di coltivazione che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

La sentenza, con le relative motivazioni, deve essere ancora depositata: intanto però il massimo organo della Corte, che fa giurisprudenza, ha deliberato che non costituisce reato, al contrario di ciò che era detto in passato.

Stabilisce, dunque, che “il bene giuridico della salute non è in alcun modo pregiudicato dal singolo coltivatore di modeste quantità”. Si andrebbe così a superare un’anomalia: non era reato acquistare e consumare cannabis per uso personale, ma lo era coltivarla in casa con le medesime quantità. Attenzione però, c’è da fare chiarezza: la sentenza non significa che sia cambiata la legge, ma che si è aperta una possibile strada alternativa rispetto al trattamento giuridico dei casi simili in Italia. Anche se le sentenze della Cassazione non hanno di per sé un valore vincolante se non per il procedimento giudiziario per il quale vengono emesse, quelle decise dalle Sezioni unite sono molto autorevoli.

Nello specifico ecco cosa stabilito la Cassazione:

“Il reato di coltivazione di stupefacente – si legge nella massima provvisoria emessa dalla Corte – è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente”.

“Devono però ritenersi escluse in quanto non riconducibile all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni, svolte in forma domestica che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate i via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

La pronuncia aveva preso le mosse dal caso di una persona che aveva fatto ricorso in Cassazione per l’annullamento di una condanna che riguardava la coltivazione di due piante di cannabis, una alta un metro e con 18 rami e l’altra alta 1,15 metri e con 20 rami.

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