Orti Urbani: modello di sviluppo da Nairobi a San Paolo del Brasile

Cosa hanno in comune la baraccopoli di Mathare, 1,5 kmq collocati nella periferia di Nairobi per una popolazione di circa 500.000 abitanti e Bamburral, una delle favelas che costellano la megalopoli brasiliana di San Paolo? Un percorso di sviluppo della partecipazione urbana, fondato sulla diffusione della pratica agricola comunitaria. Non una casuale concomitanza di percorsi paralleli, ma la volontà di creare forme di dialogo tra luoghi molto distanti eppure simili tra loro.

Cosa hanno in comune la baraccopoli di Mathare, 1,5 kmq collocati nella periferia di Nairobi per una popolazione di circa 500.000 abitanti e Bamburral, una delle favelas che costellano la megalopoli brasiliana di San Paolo? Un percorso di sviluppo della partecipazione urbana, fondato sulla diffusione della pratica agricola comunitaria. Non una casuale concomitanza di percorsi paralleli, ma la volontà di creare forme di dialogo tra luoghi molto distanti eppure simili tra loro.

Sao Paulo Calling” è il progetto che ha permesso a queste due comunità di venire in contatto e incontrarsi. Ha preso corpo a partire da un’iniziativa promossa dal Segretariato Municipale per la Casa della città di San Paolo a cui hanno risposto diverse ONG internazionali, ognuna portando in una favela della città la propria best practice.

Liveinslums è l’organizzazione con base milanese e architetti sparsi in tutto il pianeta che sviluppa progetti nelle aree informali del Terzo e Quarto mondo, volti alla valorizzazione delle risorse locali. A loro è stata affidata la scelta di portare una coppia di insegnanti della scuola Why Not in cui si svolge il progetto di orto urbano di Nairobi a San Paolo, nel cuore di Bamburral.

Sao Pualo calling

Si calcola che nel 2050, il 70% della popolazione mondiale abiterà nelle grandi città. Già oggi, a San Paolo, tre milioni di persone vivono in baraccopoli nate sulla scia dell’urbanizzazione selvaggia. Due milioni e mezzo a Nairobi, otto milioni nella sola Mumbai. Vengono definiti insediamenti informali, proprio per la loro estraneità alle regole dell’urbanistica e delle istituzioni. Per decenni sono stati marginalizzati, a volte rasi al suolo o banalmente confinati tramite filo spinato. Il comune di San Paolo è una delle poche città al mondo che ha voluto affrontare la questione di una possibile integrazione delle favelas nel tessuto cittadino.

Si sono dimostrati subito incuriositi dal tema dell’agricoltura urbana – dice Gaetano Berni, raggiunto via skype da greenMe.it mentre si trova a Nairobi – ancora non percepito prima dalle istituzioni locali brasiliane come foriero di educazione e sviluppo“. Il modello di riferimento non doveva avere nulla a che fare con il frutteto glamour di Chicago o la High line di NewYork, ma al contrario doveva riflettere tutte le ristrettezze e le difficoltà che solo la gente che vive un altro slum può trasmettere. “Per i due insegnanti di Mathare giunti a San Paolo, raccontare l’esperienza dell’orto è stato un modo per sentirsi fieri di quello che stanno facendo nel loro Paese. E anche – continua Silvia Orazi, sempre in collegamento da Nairobi – un’occasione per confrontarsi con una realtà esterna, per alcuni aspetti simile anche se comunque migliore, che dà loro speranza.”

Le favelas, ma soprattutto i loro cittadini, sono protagonisti di pratiche di cittadinanza attiva che si manifestano in forme e modi non consueti agli occhi dell'”uomo formale”: appropriandosi degli spazi, trasformandoli e proliferando in essi attivano processi di coabitazione e di collaborazione reciproca, di autocostruzione e di commercio non rintracciabili altrove. A muovere in modo sottile e condiviso certe competenze si ottengono cambiamenti nelle pratiche quotidiane che creano subito meccanismi di contagio.

A Mathare, l’intervento di Liveinslums ha permesso di bonificare un terreno destinato a discarica, collocato proprio di fronte a una scuola e di farlo diventare un orto che oggi copre una superficie di circa 700mq e nel quale vengono coltivati i prodotti utili alla mensa della scuola. “Ora produciamo cibo” dice Akoi, uno dei contadini di Mathare, fiero di fronte alla telecamera. “Quello che abbiamo insegnato loro è semplicemente un metodo e qualche accorgimento di tipo igienico e agronomico: l’importanza del bonificare il terreno e non seminare nell’immondizia o del creare aiuola di piante che si alimentano reciprocamente“. L’intervento educativo, ma soprattutto operativo, di Liveinslum si è sovrapposto a una modalità di coltivazione spontanea che da tempo caratterizza la popolazione di Nairobi. “Garden in sack” è il nome comune con cui gli abitanti di queste baraccopoli coltivano spinaci, peperoni e cipolle: riempiendo grandi sacchi di terra pulita e controllando l’acqua per evitare il problema della contaminazione.

san paulo favelas

Questa pratica, insieme con quella dell’orto, sono state l’oggetto dello scambio tra Margaret e Dominic, di Nairobi e la popolazione di Bamburral. Qui, la scuola è l’unico spazio attorno al quale la comunità si aggrega. Le strade e gli spiazzi pubblici sono destinati a ospitare immondizia che rende l’aria insalubre e le condizioni igieniche precarie. Anche qui dunque, l’orto ha preso corpo nel retro dell’istituto scolastico, di fronte ai bambini e ai loro genitori, cercando di declinare in maniera locale la pratica. “Abbiamo seminato erbe medicinali, molto usate nella cultura brasiliana per usi terapeutici” dice Gaetano “ma soprattutto abbiamo cercato di riqualificare il paesaggio che è il primo modo per restituire un segnale visibile tra quelle distese indefinite di baracche e rifiuti”.

Sao Paulo Calling si è svolto a giugno e gli eventuali effetti benefici sulla comunità paulista si vedranno nei prossimi mesi. A Nairobi, nel frattempo, l’orto della scuola ha alimentato il contagio facendo proliferare piccoli orti spontanei ovunque nella baraccopoli e lungo il fiume Mathare.

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