Disastro Deepwater Horizon, Golfo del Messico: il punto della situazione

Restano vani i tentativi di fermare la chiazza nera di petrolio, larga ormai circa 193 km, che sta avanzando e che nonostante gli sforzi fatti in questi giorni per arginarla, ha raggiunto le coste della Lousiania facendo prevedere uno dei “peggior disastro ambientale della storia degli Stati Uniti”.

Restano vani i tentativi di fermare la chiazza nera di petrolio, larga ormai circa 193 km, che sta avanzando e che nonostante gli sforzi fatti in questi giorni per arginarla, ha raggiunto le coste della Lousiania facendo prevedere uno dei “peggior disastro ambientale della storia degli Stati Uniti”.

Sì perché l’esplosione e l’affondamento, la settimana scorsa, della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico sta riversando in mare greggio, schiuma e addittivi chimici ad un ritmo impressionante, stimato sull’Amministrazione nazionale per l’oceano e l’atmosfera (NOAA) , in 5000 barili di petrolio al giorno, cinque volte di più delle precedenti valutazioni fatte dall’agenzia federale statunitense che sta monitorando gli sviluppi del disastro in Lousiania. “È motivo di grave preoccupazione – spiega David Kennedy, della National and Atmospheric Administration -, sono spaventato. È una chiazza molto, molto grande. E tutti gli sforzi in atto per contenerla sono inimmaginabili”.

La paura è che le conseguenze possano essere addirittura peggiori di quelle della famigerata petroliera Exxon Valdez che nel 1989 si incagliò su una scogliera nel Golfo dell’Alaska, riversando in mare oltre 11 milioni di galloni di petrolio.

Si lotta contro il tempo per tentare di fermare l’avanzata del greggio che inizia a lambire le zone paludose, i canali in prossimità del Delta del Mississippi e le coste di uno Stato che ancora sta pagando le conseguenze dell’Uragano Katrina. Bobby Jindal, Governatore della Lousiania ha decretato lo stato d’emergenza e chiesto alla Casa Bianca l’invio di seimila soldati della Guardia nazionale per gestire l’emergenza e contribuire all’opera di bonifica.

Nel frattempo, la Guardia costiera dopo le perlustrazioni aeree sta preparando una serie di barriere di gomma nel disperato tentativo di contenere la chiazza ed evitare che il petrolio arrivi a terra. Lungo tutta l’area costiera di Mississippi, Alabama e Florida Occidentale sono pronte per l’uso 500mila barriere di protezione e contenimento fornite dalla Marina Usa.

Ma la British Petroleum, la compagnia petrolifera anglo-olandese che gestiva l’impianto di trivellazione ha ammesso di avere problemi a stoppare l’emorragia del greggio che si trova a 1525 metri sotto il livello del mare e ha chiesto al Dipartimento della Difesa ulteriori risorse e, in particolare, di avere accesso alla sofisticata tecnologia militare di ripresa delle immagini e ai veicoli telecomandati per cercare di riparare la conduttura.

La BP ha fatto però sapere, attraverso un suo portavoce, che si farà carico dei costi del disastro, un conto che si prospetta salatissimo: 6 milioni i dollari al giorno stimati solo per la pulizia a cui vanno aggiunte le spese legali e di risarcimento oltre ai costi di messa in sicurezza delle altre piattaforme del gruppo e alle multe per aver occultato con false comunicazioni la reale portata dell’incidente.

Ma a pagare le spese del disastro sono anche i pescatori della zona che, riuniti in una class-action su proposta di due commercianti di crostacei della Lousiania, hanno avanzato una richiesta di risarcimento di 5 miliondi di dollari.

Restano invece inquantificabili i danni inflitti all’ecosistema e alle tante specie che vivono nel Golfo del Messico. Il WWF ha definito il disastro la “macchia nera dell’Anno della biodiversità” e chiede a gran voce che vengano istituite a priori, prima di concedere le autorizzazioni per impianti di trivellazione, delle valutazioni di rischio che includano la previsione e la quantificazione “dell’enorme danno ecologico, sociale, ambientale in caso di disastri connessi ad attività estrattive in aree delicate come il Golfo del Messico, il Mediterraneo e tanti altri mari fragili e sensibili per la loro biodiversità, i quali oltretutto forniscono insostituibile nutrimento a comunità e famiglie”.

Quello che sta accadendo in Lousiania spinge a riflettere sull’incompatibilità tra il petrolio e la conservazione della biodiversità in quanto come dichiara Fulco Pratesi, Presidente onorario del WWF Italia: Andrebbe applicato il principio di precauzione perché le estrazioni a mare (come tutte le cose che avvengono sopra e sotto la sua superficie) sono poco controllate e poco controllabili”.

E almeno nell’immediato l’incidente della Deepwater Horizon ha spinto il Presidente Barack Obama a stoppare la concessione delle autorizzazioni per nuove trivellazioni. La Casa Bianca ha infatti fatto sapere ieri, attraverso le parole del consigliere David Axelrod, che, fintanto non saranno chiarite le cause ed effettuate le opportune verifiche di quanto accaduto nel Golfo del Messico, non saranno concessi permessi di trivellazione in nuove aree.

Il blocco alle esplorazioni offshore è la soluzione auspicata anche per il Governo italiano da Greenpeace che invita nuovamente a puntare sulle rinnovabili per liberarci dalla schiavitù del petrolio e dai pericoli connessi alla sua estrazione e al suo trasporto. «Non basta l’ultima tragedia in Louisiana, decenni di maree nere non ci hanno insegnato niente: in Italia, il Governo continua a rilasciare autorizzazioni a valanga, soprattutto in Adriatico e, da ultimo, anche al largo delle Isole Tremiti – denuncia Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace – Ormai è tempo di dedicarsi davvero alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica. Così, invece di uccidere i lavoratori, potremo creare migliaia di posti di lavoro e raggiungere una maggiore indipendenza energetica».

Concetto ribadito anche da Pratesi del WWF, “50 anni di ecosistemi compromessi e deteriorati non valgono una maggiore spinta verso le energie rinnovabili ?
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