Conferenza di Copenhagen 2009: le reazioni a freddo sul fallimento del vertice

Cala il sipario sulla Conferenza di Copenhagen che ha catalizzato gli occhi e l'attenzione di tutto il mondo per due settimane. E con esso , dalla quale è uscito fuori un accordo che non ha soddisfatto nessuno, cala anche la flebile speranza che un po' tutti riponevamo in essa per salvare il futuro del pianeta dagli effetti devastanti del global warming. Ecco le reazioni di associazioni e politici

Cala il sipario sulla Conferenza di Copenhagen che ha catalizzato gli occhi e l’attenzione di tutto il mondo per due settimane e dalla quale è uscito fuori un accordo che non ha soddisfatto nessuno.  Cala, così, anche la flebile speranza che un po’ tutti riponevamo in questo vertice per salvare il futuro del pianeta dagli effetti devastanti del global warming. Forse, come molti affermano oggi, è questione di aspettative.

E intorno al summit dell’ONU sul clima, in questi mesi, di aspettative se ne sono create tante. Un po’ come in quei film paventati come grandi capolavori, colossal mondiali che invece, una volta nelle sale, quando si iniziano a guardare, si intuisce fin da subito come andranno a finire, ma che fanno comunque rimanere incollati allo schermo nella speranza che prima o poi arrivi quel colpo di scena capace di stupire e in grado di ribaltare un finale che sembra già scritto.

Ma quel colpo di scena a Copenhagen non è mai arrivato. Ci hanno provato più volte durante il vertice a movimentare “la pellicola”, anche spostando l’attenzione sugli eventi collaterali, sugli scontri, sulle proteste o sulle invenzioni super-ecologiche, come la ruota in grado di convertire in elettrica e a pedalata assistita qualsiasi tipo di bicicletta.

L’epilogo temuto si è materializzato in tutta la sua prevedibilità, come pure era prevedibile il copione recitato da quello che doveva essere il super-eroe di turno, quell’Obama del “yes, we can” che invece non ha potuto e non ha voluto cambiare l’epilogo già scritto, quello del nulla di fatto, quello del rimandare ulteriormente a data da destinarsi decisioni che invece, come da più parti gli scienziati avvertono, vanno prese subito, adesso. Perché i cambiamenti climatici non rimangono a guardare e neanche i ghiacciai che si sciolgono sotto il peso dell’aumento delle temperature.

Era chiaro che sarebbe finita così – ha detto a Radio Radicale la vicepresidente del Senato Emma Boninovisto che Obama non poteva fare tutto, avendo negli Usa puntato molto sulla riforma sanitaria ed essendosi quindi per questo presentato a Copenaghen senza che ne’ il Congresso ne’ il Senato avessero potuto votare alcun impegno in tema di mutazioni climatiche. Era chiaro da ottobre che al massimo si sarebbe arrivati ad una intesa di tipo politico per nulla vincolante. Tra l’altro pur essendo la Cina il paese maggiormente impegnato nella lotta alle emissioni al prorpio interno, se non altro per evitare di avere l’aria letteralmente irrespirabile, non ha pero’ voluto in alcun modo impegni vincolanti, cosi’ come l’India, e per questo la situazione si e’ sbriciolata”.

Un accordo è stato firmato, ma in pratica non si è deciso nulla perché ciò che andava circoscritto, ciò che doveva diventare vincolante per tutti gli stati, non è stato definito. Ci si è lavati la coscienza con 100 miliardi di dollari, neanche fosse la peggiore delle carità pre-natalizie. Sia ben chiaro, da come si erano messe le cose, i finanziamenti stabiliti per incrementare le tecnologie verdi nei Paesi in via di sviluppo è sicuramente l’unica cosa positiva che emerge dal summit. Ma non basta, perché insieme ai soldi bisognava comunque dare un segnale concreto della volontà di impegnarsi seriamente a ridurre le emissioni di gas serra o almeno stabilire una data certa per il picco di CO2 dalla quale poi cominciare a far decrescere la parabola. Ma tutto questo è rimasto incagliato nelle diverse posizioni sulla quale si sono barricati i vari Paesi.

E ora si comincia anche a scaricare le colpe: in un’intervista a Sky TG24 Stefania Prestigiacomo spiega come le conclusioni del vertice siano state a suo avviso “un disastro, decisamente imputabile al segretariato dell’Onu, alla mancanza di una forte leadership dei danesi, e al non aver dato conto dell’avviso politico degli Stati Uniti e Cina che già nel precedente incontro a Singapore avevano stabilito che non era ancora il momento di prendere un impegno per un accordo internazionale più vincolante sul taglio delle emissioni

Il ministro spiega come l’Europa fosse l’unico stato ad avere degli obiettivi di taglio alle emissioni ben preciso, il famoso pacchetto 20-20-20 che tra l’altro Francia e Gran Bretagna volevano ulteriormente alzare per sbloccare le trattative. Ma non spiega però perché l’Italia si sia opposta a mettere sul piatto il 30% delle riduzioni, come ha denunciato giorni fa Greenpeace.

Ed è proprio da Greenpeace che arrivano le condanne più ferme nei confronti “dei Paesi più potenti al mondo che hanno presentato al summit un accordo ‘prendere o lasciare’. Quello che i leader in viaggio verso l’aeroporto hanno lasciato alle loro spalle è caos e confusione“.

Il mondo affronta una tragica crisi di leadership – ha commentato il Direttore Esecutivo di Greenpeace International Kumi NaidooInvece di unirsi per garantire il futuro di centinaia di milioni di persone nel mondo, raggiungendo un accordo storico per evitare il caos climatico, i Paesi più potenti hanno tradito le future generazioni. Rimediare sarà ora molto più difficile“.

E anche il WWF prova a dare una spiegazione: “Copenaghen è stato sull’orlo del fallimento a causa di una sfavorevole combinazione tra scarsa leadership, interessi nazionali e di potentissime lobby e basso livello di ambizione – ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, che ha seguito i negoziati a Copenaghen – Impegni a parole, ma solo parzialmente sentiti, per proteggere il nostro Pianeta da un pericolosissimo cambiamento climatico, non sono sufficienti per affrontare una crisi che richiede modi completamente nuovi di collaborazione tra Paesi ricchi e Paesi poveri.”

Il fatto è che, proprio come sottolineato dal WWF nell’accordo, è stato stabilito che il riscaldamento globale deve rimanere al di sotto dei 2°C, limite cruciale per evitare le conseguenze più catastrofiche del cambiamento climatico. Peccato però che, così come stanno le cose e con gli impegni messo sul tavolo a Copenhagen, l’aumento delle temperature stimato è di oltre 3°C. Il WWF ha infatti analizzato l’esito del summit rispetto ad una “pagella” di 10 elementi, riscontrando come non sia stato raggiunto neanche uno degli obiettivi necessari per realizzare l’intenzione di mantenere il surriscaldamento globale sotto la soglia dei 2 gradi.

Serviva subito il migliore accordo, dovremo lavorarci ancora – continua Mariagrazia Midulla del WWF ItaliaDopo due anni di negoziati abbiamo in mano un testo mezzo crudo, dai contenuti poco chiari, e un nuovo mandato. Nessuno degli ostacoli politici all’azione per il clima è stato risolto, con l’ eccezione dell’avvio degli aiuti finanziari“.

Per Legambiente, che oggi ha organizzato a Roma un meeting per valutare i risultati di Copenhagen, però oltre agli aiuti, ci sono stati anche altri esiti positivi: “le conclusioni della Conferenza di Copenhagen hanno bisogno di un commento articolato, dal punto di vista ambientale si è trattato di una battuta di arresto, ma da quello politico forse si può parlare di successo – afferma Vittorio Cogliati DezzaCiò lo si capirà tra sei mesi a Bonn o tra un anno a Città del Messico. Questo perché tutti i Paesi del mondo hanno confermato che la questione climatica è fondamentale nelle politiche internazionali e che quindi va gestita con l’interdipendenza e il multilateralismo. Tuttavia al momento si tratta di capire se le ombre saranno superiori alle luci, anche perché – continua Cogliati Dezza – “che non arrivasse ad un accordo realmente vincolante era chiaro da alcuni mesi, il vero insuccesso di Copenaghen è che non si è riusciti a stilare un agenda d’impegni per i prossimi mesi“.

Probabilmente però la cosa che ha lasciato maggiormente con l’amaro in bocca è stato il constatare come “i grandi del mondo” abbiano deciso, soprattutto nell’ultima fase dei negoziati in cui addirittura sono state chiuse le porte ad esponenti di associazioni importanti come Friends of the Earth, di escludere quasi completamente la società civile dai negoziati. Una società civile che si è compattata più di quel che ci si aspettasse intorno alla causa e che, con diverse azioni, raccolte di firme e appelli ha fatto sentire la sua voce. Una voce rimasta per l momento inascoltata, ma che continuerà a gridare, perché per usare le parole della Midulla, “combattere i cambiamenti del clima non è una scelta, è un obbligo“.

In questo fallimento generale della classe politica internazionale qualcuno che “ha salvato la faccia” (magari non in senso letterale) forse c’è: è Silvio Berlusconi, l’assente giustificato dopo la nota aggressione di Milano. Chissà, se come affermato dal ministro Prestigiacomo, “con la sua forte influenza avrebbe potuto dare un apporto importante“? Ma forse anche questo è un film già visto.

Simona Falasca

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