Terremoti in Molise, paura per la faglia del Matese. Intervista al geologo Silvio Seno

Terremoti: dopo i terribili eventi dell’Italia centrale, nuove scosse si registrano sugli Appennini, stavolta in Molise, intorno a Campobasso, nella faglia del Matese, già teatro in passato di eventi terribili, tra i quali quello di Boiano del 1805 che causò 5000 vittime (magnitudo 6.6), ma anche altri più recenti di magnitudo comunque significativa

Terremoti: dopo i terribili eventi dell’Italia centrale nuove scosse si registrano sugli Appennini, stavolta in Molise, intorno a Campobasso, nella faglia del Matese, già teatro in passato di eventi terribili, tra i quali quello di Boiano del 1805 che causò 5000 vittime (magnitudo 6.6), ma anche altri più recenti di magnitudo comunque significativa.

L’allerta è alta, visti i precedenti e vista la situazione del costruito italiano, per larga parte (circa il 70%) non in grado di resistere a sismi di magnitudo medio-alta. La zona è ad alta sismicità, e la sequenza di scosse, per ora con eventi modesti, impensierisce la popolazione locale.

Per capire cosa sta accadendo davvero e cosa possiamo aspettarci, abbiamo intervistato Silvio Seno, professore ordinario di Geologia strutturale presso l’Università degli Studi di Pavia.

Nella giornate del 9 e 10 Gennaio si sono registrate diverse scosse nella zona di Campobasso. Si è dunque riattivata la faglia del Matese?

Sono state registrate tra il 9 e il 10 una ventina di scosse piccole, di magnitudo superiore a 2 e un paio vicine a 3. Sono tutte scosse piuttosto modeste, alcune relativamente profonde, e sono in una regione in cui effettivamente c’è una lunga e importante storia sismica, intorno a Campobasso, che si trova a est di uno dei più grandi terremoti recenti, del 1805, nella zona di Boiano, con magnitudo stimata di 6.6 e che provocò la morte di 5000 persone.

Non si può dire che la faglia si sia “riattivata”: quella è una zona del nostro Paese con sismicità attiva, anzi uno dei posti più sismici d’Italia, quindi non si parla di “riattivazione”, ma di attività che continua. È chiaro che abbia del momenti di stasi, di calma, e dei momenti di attività “vera”, in cui si manifestano i terremoti.

Comunque, quando si parla di ‘Faglia del Matese’, parliamo in realtà di un sistema di faglie, quindi non un unico oggetto fisico, ma una rete di faglie, dove le rotture e i movimenti si alternano.

terremoto campobasso

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Sono eventi isolati o possono essere il preludio di un evento più pericoloso?

Questo non è possibile dirlo. Diciamo che tutti gli scenari sono possibili: a volte ci sono sequenze sismiche come questa, che non portano a nessun grande evento. Tra l’altro, proprio un anno fa (gennaio 2016), nella stessa zona si verificò una sequenza che ebbe come massima magnitudo 4.1, quindi relativamente modesto, che lentamente poi si risolse.

Viceversa, a parte quello di Boiano che fu un grande terremoto, sempre nella zona di Campobasso ci sono stati altri sismi storici, piuttosto recenti (fine ‘800 e ‘900, come nel 1913), con magnitudo intorno a 5 o anche leggermente superiori. Anche questi sono scenari possibili. D’altronde quella è una delle regioni a più alta pericolosità sismica a livello nazionale.

Quindi ci dobbiamo preoccupare in generale, perché, se abitiamo in regioni con questa pericolosità, ci dobbiamo preoccupare che la nostra casa sia adeguatamente costruita, o ristrutturata. Di questo sì che dobbiamo preoccuparci. Ovviamente pariamo di edifici privati, pubblici e infrastrutture.

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Il terremoto di San Giuliano, tristemente noto per la tragedia della scuola Francesco Jovine dove persero la vita 27 bambini e una insegnante, è considerato un evento nella stessa area?

Il terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002 fu un evento abbastanza simile in termini di caratteristiche, ma un po’ più spostato verso est. Tuttavia possiamo considerare questi eventi della stessa “famiglia” in effetti, anche se non direttamente collegati tra loro.

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Le attività umane nella zona stanno giocando un ruolo nell’innesco degli eventi sismici?

Per innescare un terremoto bisogna interagire in profondità con opere direttamente nel sottosuolo. Sull’argomento c’è una letteratura abbastanza importante, ma si parla di scavi nel sottosuolo (es. gallerie), estrazioni di fluidi, e in qualche caso si sono registrati piccoli terremoti anche con la costruzione di dighe, dovuti all’acqua che entra nella fenditure.

Per avere interazioni con la sismicità bisogna comunque intervenire sul sottosuolo e non è detto che succeda. Se non ci sono attività di questo tipo non esiste possibilità di intervenire con un fenomeno naturale come il sisma.

C’è qualche legame con i terremoti che hanno devastato l’Italia centrale, da Amatrice a Norcia?

Il legame è nel motore, ovvero quello che ha portato alla nascita e alla crescita della catena appenninica. A cavallo degli Appennini siamo su una porzione di placca adriatica che si sposta lentamente (qualche millimetro all’anno) verso nord-est. In poche parole c’è una rotazione della catena in senso antiorario, e questo è il motivo della sismicità dell’Appennino, che in questo momento tende ad aprirsi e che ha causato i terremoti nel centro Italia. I legami sono dunque nel motore generale, a grande scala, ma su piccola scala si tratta di faglie assolutamente diverse.

Certo, quando si verifica un terremoto di magnitudo come quella registrata nell’Italia centrale, c’è in effetti un “riaggiustamento” dei volumi della crosta terrestre nelle aree adiacenti, e quindi anche faglie non direttamente collegate, ma vicine, possono essere influenzate dal terremoto che si è innescato.

Ma questo è molto più difficile da dimostrare, in quanto, più ci si allontana spazialmente dal terremoto, più diventa complicato spiegarne la relazione.

Roberta De Carolis

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