Apicoltori urbani: api in citta’. Il progetto Urbees di Torino

Qualche apicoltore d'altura potrà storcere il naso di fronte a quella che ai loro occhi appare come un'eresia del mestiere eppure "quello che serve alle api è semplicemente nettare puro, clima mite e varietà". E la città offre tutto questo. A dirlo a greenMe.it è Antonio Barletta, ideatore del progetto Urbees, il primo in Italia a promuovere l'idea di allevare api in città.

Togliamo di torno i pregiudizi: le api non pungono, a meno che non ci si dimeni di fronte a loro o le si disturbi. Sentono l’odore della paura, ma non sono animali predatori che devono difendere la propria preda: i fiori e il nettare sono risorsa diffusa e l’uomo non rappresenta un pericolo ai loro occhi. Detto questo possiamo iniziare a parlare di apicoltura in città.

Qualche apicoltore d’altura potrà storcere il naso di fronte a quella che ai loro occhi appare come un’eresia del mestiere eppure “quello che serve alle api è semplicemente nettare puro, clima mite e varietà“. E la città offre tutto questo. A dirlo a greenMe.it è Antonio Barletta, ideatore del progetto Urbees, il primo in Italia a promuovere l’idea di allevare api in città. Introdotto al mestiere da un collega di lavoro che aveva un apiario in Val Chiusella, Antonio scopre il meraviglioso mondo delle api. Inizia a leggere libri e a informarsi. Scopre così le prime esperienze internazionali in materia di apicoltura in città: New York, Chicago, Los Angeles, Parigi, ma anche Hong Kong. Qui, appassionati di api e hobbysti, da anni, hanno sdoganato l’immagine di questi insetti portandoli anche sotto i riflettori mediatici. È il caso di Nicolas Geant che è riuscito a mettere le sue arnie sopra l’Operà e sul palazzo di Louis Vuitton nella capitale francese. O di Micheal Leung, designer cinese che con la cera prodotta dai suoi alveari fa workshop per insegnare a creare candele di cera. Nella calda California invece esiste da anni la comunità dei Backyard Beekeepers, nata per sensibilizzare la gente sulla salvaguardia di questi animali.

Per Antonio Barletta, inizialmente si è trattato di risolvere un problema pratico. “Avere l’apiario in città mi permetteva di ridurre la distanza da casa e quindi di poter seguire la vita delle api da vicino e con costanza. È stato poi che ho pensato di far diventare quella passione, un progetto più ampio: avevo bisogno di una svolta nella mia vita e di qualcosa di cui sentirmi autore“. Urbees nasce nel novembre 2010 e trova l’approvazione di Agripiemonte Miele che offre ad Antonio un banchetto alla Grande Fiera del Miele di Torino. Segue il contatto con i proprietari di alcuni orti urbani nella zona di Mirafiori, e quello con i coordinatori del PAV (Parco di Arte Vivente) della città. I giornali ne parlano, le pagine di Facebook () e Twitter si popolano e il progetto diventa anche un opuscolo edito dalla casa editrice Montaonda.

urbees

Certo non è facile far capire alle persone perché si dovrebbe favorire la vita delle api in città. Ma Antonio è preparato e non si fa cogliere in fallo di fronte alle perplessità dei cittadini e alle critiche degli altri apicoltori. “Se osserviamo la realtà dal punto di vista delle api, vediamo che si è venuta a creare la paradossale situazione per cui la città è meno inquinata della campagna.” La presenza di pesticidi ed erbicidi con cui i contadini alimentano le piante impoverisce la disponibilità di nettare e polline in natura, oppure le inquina al punto da provocare la moria delle api. Uno studio del 2006 ha calcolato che in campagna muoiono circa il 30% delle api ogni anno , mentre in città solo il 5%. La presenza massiccia di monocolture inoltre determina una fioritura breve, concentrata e soprattutto priva di biodiversità. Tutto il contrario di quello che avviene in città dove la presenza di piante sui balconi, nei giardini pubblici, nelle fioriere delle aiuole contribuisce a rifornire le api di nettare sempre diverso e durante tutto il corso dell’anno.

E a chi arriccia il naso, sospettoso di fronte al pensiero dello smog e dell’inquinamento? Anche rispetto a questo, Antonio non si fa trovare impreparato. “Per offrire garanzie al mio consumatore, ho deciso di procedere all’analisi del miele che verrà prodotto in queste arnie. Per gli apicoltori, non è una pratica obbligatoria e quindi non è dato sapere in che misura sono presenti metalli pesanti nel miele che mangiamo.” Non è cosa nota, eppure le api sono considerate un affidabile termometro ambientale. L’Università di Bologna le usa per monitorare i livelli di inquinamento della campagna da un punto di vista biologico poiché permette di capire quali sono gli effetti degli inquinanti sul corpo vivente, animale e vegetale. Non è detto che non se ne possa fare lo stesso uso in città, suggerisce Antonio.

Nel primo miele marchiato Urbees (pronto entro l’autunno) ci saranno probabilmente tracce di metalli pesanti, ma in quantità ben inferiori a quelle considerate fonte di allarme per l’uomo. Altri studi realizzati dall’Università di Udine lo confermano.

L’interesse di Antonio però non è quello di fare di Urbees un business. “Certo, tutti i corsi di apicoltura dicono che dal miele si può ricavare una piccola fonte di reddito. Il mio scopo però è un altro: portare all’attenzione della gente il problema delle campagne inquinate e sensibilizzare la popolazione nei confronti dell’apicoltura come attività hobbystica pari a tutte quelle che negli ultimi anni si sono diffuse (dagli orti sul terrazzo a quelli urbani). E poi, sicuramente, far conoscere il mondo di questo “superorganismo” fantastico, capace di autodeterminarsi secondo dinamiche che si avvicinano molto a quelle di una società perfetta“.

Sarà a causa di quegli studi di filosofia mai terminati, ma Antonio non smette mai di parlare dell’organizzazione che sottende la vita dell’alveare: un meccanismo perfetto che si regolamenta secondo regole ferree. “Pensate che bello poter insegnare ai bambini il funzionamento di una società a partire dall’esempio che le api offrono” dice. E noi ci crediamo.

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