Las Vegas: l’uso efficiente dell’acqua nella città senza pioggia

I famosi acquedotti romani che sono stati a lungo considerati un modello di ingegneria civile? Oggi disperdono fino al 70% dell’acqua trasportata. Il sistema di falde acquifere cittadine? Inquinate o sommerse dal cemento. Gli impianti di raccolta dell’acqua di cui erano dotati i tetti dei palazzi? Inutilizzati.

I famosi acquedotti romani che sono stati a lungo considerati un modello di ingegneria civile? Oggi disperdono fino al 70% dell’acqua trasportata. Il sistema di falde acquifere cittadine? Inquinate o sommerse dal cemento. Gli impianti di raccolta dell’acqua di cui erano dotati i tetti dei palazzi? Inutilizzati.

L’Italia degli sprechi e dell’inefficienza non si smentisce quando si parla di acqua. Ne sanno qualcosa coloro che impugnano i problemi del sistema idrico nazionale per giustificare la legge sulla privatizzazione dell’acqua che nei referendum del 12 e 13 giugno gli italiani andranno a votare.. Un sistema competitivo, dicono, non permetterebbe un così basso livello di produttività dell’acqua.

Dunque, sono le aziende, le istituzioni pubbliche o i cittadini a dover garantire un uso efficace delle risorse idriche? Il dibattito sull’acqua in corso ha avuto il merito di portare alla luce il valore di un elemento naturale attraverso le implicazioni del suo stesso peso sociale. Consentendo di far uscire l’acqua dal suo status di bene infinito e dunque da dare per scontato.

Ci sono realtà nel mondo che non hanno dovuto affrontare una polemica tanto acre per giungere a una soluzione. Hanno semplicemente affrontato i problemi e cercato delle vie di uscita.

Quando Patricia Mulroy fu incaricata di diventare la responsabile dell’intero sistema idrico che rifornisce Las Vegas si trovò di fronte a un problema reale: il rischio di dover chiudere i rubinetti a causa della siccità.

Las Vegas è una città che conta circa 2 milioni di abitanti, in cui la media delle precipitazioni non supera mai i 2,5 cm e dove per 72 giorni l’anno la temperatura supera i 37,8 °C.

Il 90% della sua acqua proviene da un’unica fonte, il lago Mead, una riserva naturale lunga 176 km. In base a una legge emessa nel 1930 e mai modificata, di questa immensa massa d’ acqua, Las Vegas è autorizzata a prelevare solo il 4 per cento.

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Ciò accade indipendentemente dal fatto che, nel corso degli ultimi vent’anni, la popolazione della città sia triplicata e il numero dei resort di lusso con piscine olimpioniche, giochi d’acqua, delfinari e cascate che simulano quelle del Niagara siano moltiplicati.

Come si fa a mettere insieme il valore ostentativo dell’acqua, l’esigenza di sviluppo economico e il rischio siccità? Attraverso una pianificazione di lungo termine, a favore di un cambiamento dei costumi locali.

Patricia Mulroy, l’ autrice di questo storico passaggio, è una trentaseienne che nel corso degli ultimi quindici anni ha fatto in modo che i consumi pro capite della metropoli siano scesi del 31 per cento e che il 94 per cento dell’acqua possa essere riutilizzata.

Avrebbe potuto aumentare il prezzo dell’acqua. Al contrario, ha attivato un percorso di educazione della cittadinanza, che ha coinvolto prima i soggetti privati dedicati all’entertainment, poi i servizi e infine la popolazione civile. “Il primo obiettivo era differenziare l’impatto economico dell’acqua dall’uso puramente decorativo” racconta Mulroy, all’interno del libro La grande sete. L’era della scommessa sull’acqua” (Egea) di Charles Fishman, recentemente presentato al Salone del Libro di Torino.

In altri termini, distinguere le situazioni in cui l’acqua contribuiva a generare l’immagine di Las Vegas dalle situazioni in cui era solo vezzo ornamentale.

Ancora più sistematica fu l’operazione di convincimento di alcuni dei tycoon più ricchi del mondo e proprietari delle più lussuose catene di alberghi a investire in sistemi di recupero e riutilizzo delle acque, a favore di una re-immissione dentro il lago Mead o di usi di servizio come lavanderie e processi industriali.

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Per altri fronti, venne condotta l’iniziativa “cash for grass”, con la quale incentivare società e privati cittadini a diminuire la superficie destinata a prato erboso al fine di diminuire l’uso dell’acqua da usare per la manutenzione ordinaria.

Oggi, a Las Vegas, fare in modo che l’acqua non si disperda e sia fatta defluire nel sistema fognario è diventata una sorta di ossessione perché costituisce il presupposto necessario per attingerne di nuova.

L’assunzione di questo atteggiamento non ha abbassato la soglia di rischio di siccità, ma Las Vegas può tranquillamente dire di avere un approccio consapevole, senonché ancora grandiosamente americano, all’uso dell’acqua. Quello di chi considera questa risorsa alla pari di tutte le altre e dunque capace di esaurirsi, di essere merce di scambio e oggetto di consumo.

Pamela Pelatelli

 

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