Così l’Italia sta contribuendo a cancellare le tigri dalla faccia della Terra, l’inchiesta che tutti dovrebbero leggere

Non ci sono dati certi sul numero di tigri, legali e illegali, presenti nel nostro Paese. Questa confusione e mancanza di dati rappresenta uno scenario fuori controllo, che sta contribuendo a cancellare questo splendido animale dalla faccia della Terra. L’inchiesta di Rudi Bressa

Nel mondo ci sono solamente circa 12.000 tigri. Di queste, solamente 3.900 sono in natura, mentre 8.000 sono allevate e detenute in cattività. L’Europa è protagonista di questo triste primato (tigri in circhi, zoo e in abitazioni private) e la mancanza di dati certi rappresenta uno dei più grandi problemi legati alla gestione di fauna esotica nel continente.

Se molti paesi non hanno dati aggiornati, l’Italia li ha “pesantemente” incompleti. La mancanza di dati porta di fatto alla situazione in cui questi animali sono vittime di traffici, spesso finalizzati all’uccisione (una tigre morta vale fino a nove volte una tigre viva), spesso senza neppure aver avuto conoscenza dell’esistenza stessa di moltissime tigri.

A rivelarlo è il giornalista investigativo free lance Rudi Bressa, che ha già realizzato inchieste sul traffico e commercio di animali, nel suo ultimo lavoro investigativo sul traffico di tigri in Italia, pubblicata sul sito di giornalismo investigativo Oxpeckers.

Un lavoro puntuale, approfondito e svolto sul campo che da tempo non si vedeva in Italia su queste tematiche. E che, oltre su traffico di tigri, accende i riflettori (aggiungiamo noi), anche sull’importanza del giornalismo investigativo veramente indipendente e del lavoro di giornalisti così coraggiosi e eticamente liberi, troppo spesso facile bersaglio di chi vorrebbe metterli a tacere. 

Il giornalista ha svolto un’approfondita ricerca di quelle che sono le sfaccettature di questo traffico. Analizzando i dati forniti da LAV e da altre Associazioni Europee (Animal Advocacy and Protection e Four Paws), cerca di comprendere l’entità di questo fenomeno.

I numeri che non tornano

Cosa ne emerge? Che, nonostante il lavoro svolto e i contatti con il Ministero e i Carabinieri Cites, è risultato impossibile avere dei dati univoci circa il numero di questi felini presenti sul territorio italiano. Secondo il Ministero dell’Ambiente, ci sono 75 tigri presenti negli zoo (con o senza licenza). Per la CITES il totale è di 161, delle quali 68 nei circhi italiani. Secondo LAV, e secondo altre associazioni, invece, in Italia ci sono circa 400 tigri, delle quali 160 detenute presso i circhi. Questa confusione e mancanza di dati rappresenta uno scenario fuori controllo.

@oxpeckers.org

“Senza un registro unificato e veritiero di questi animali, le tigri possono essere oggetto di traffici, potrebbero essere allevate e fatte a pezzi per esser destinate al mercato farmaceutico tradizionale cinese, senza che ve ne sia alcuna conoscenza. La gestione di uno degli animali più a rischio estinzione è, quindi, pressoché impossibile, senza considerare il rischio dovuto alla sicurezza dei cittadini, nel caso in cui uno di questi animali possa fuggire, considerata la loro pericolosità”, commenta la Lav.

Quel che è certo è che Francia e Italia sono due dei principali punti caldi del continente, a giudicare dal numero di sequestri e condanne.

Situazione fuori controllo in Italia e Francia

La mancanza di dati affidabili sulle tigri allevate in cattività significa che le autorità non sono in grado di controllare lo sfruttamento commerciale di questa specie, stimolando non solo il commercio legale e illegale di tigri vive, ma anche il commercio di sottoprodotti come pelli, ossa e carne, spesso per soddisfare la domanda nei paesi asiatici. Secondo un insider che ha chiesto di non essere nominato, una tigre morta può recuperare più di 40 volte l’importo pagato per una tigre viva.

Lo aveva rivelato anche l’ultimo report del WWF “Tiger Traffic Europe”, svelando questo preoccupante fenomeno praticamente sconosciuto e in cui siamo coinvolti sia come Paese che come continente.

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Le tigri mandate a morire dall’Italia al Daghestan

Un esempio del coinvolgimento dell’Italia è quello del caso svelato nel 2019 e per il quale si era attivata l’Arma dei Carabinieri con un procedimento penale nei confronti del direttore di un circo: 10 tigri di sua proprietà erano state trasportate in condizioni deplorevoli attraverso Austria, Repubblica Ceca e Polonia. Erano destinate ufficialmente ad uno zoo nella federazione Russa, ma alla frontiera l’assenza di documenti necessari aveva creato il sospetto. Dalle indagini risultò che nel paese di destinazione non vi era alcuno zoo: le tigri, infatti, per quanto emerso dalle indagini condotte dalle Autorità pubbliche erano destinate ad un’azienda di importazione di carne e alcolici, una copertura perfetta per questo tipo di affari loschi. Per fortuna l’intervento del WWF Polonia permise di mettere in salvo le tigri sopravvissute (9 delle 10) in un rifugio sicuro.

“Ho provato a entrare in una delle gabbie per gli animali. E letteralmente, ho pianto. Non c’era modo di voltarsi, di alzare la testa, non c’era la possibilità di dar loro da mangiare o di dar loro dell’acqua. Non c’era niente lì. Se un animale viene trasportato in queste condizioni, non c’è altra intenzione che la certezza che muoia”, racconta David van Gennep, direttore dell’organizzazione europea per il benessere degli animali Aap (Animal advocacy and protection), descrivendo la sua esperienza quando è entrato in una delle gabbie utilizzate per trasportare queste 10 tigri dall’Italia al Daghestan.

Le tigri affamate, assetate e sporche erano state trasportate per sei giorni per circa 2.000 km, e una era morta quando sono state fermate dalle guardie di frontiera al valico tra Polonia e Bielorussia nell’ottobre 2019. 

Interrogazione al Governo

“A seguito delle conferme e delle nuove informazioni e dati che questo articolo rivela, siamo sicuri che la questione non possa più aspettare e che sia necessario affrontare il problema, fermando il traffico dall’Italia di questi animali, oltre all’urgenza di un divieto totale di riproduzione in cattività”, aggiunge la Lav, che si farà promotorice di un’interrogazione inter-ministeriale, ai Ministri di Interno, Transizione Ecologica, Politiche Agricole e Cultura.

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