“Obituario dell’estinzione”, la nuova sezione del Guardian insegna ai quotidiani italiani che la perdita di biodiversità può (e deve) fare notizia

Un nuovo format lanciato da The Guardian, che per primo ha scelto di mettere la crisi climatica in prima pagina, coniandone anche il termine, ora scegli di lanciare una nuova rubrica dedicata a tutte le specie estinte nel corso del tempo, per non dimenticare la crisi della biodiversità che il mondo sta vivendo. Il primo capitolo racconta della scomparsa di un uccello endemico nelle Hawaii: il po'ouli. E tutti i quotidiani, italiani soprattutto, dovrebbero imitarlo. La perdita di biodiversità, così come la crisi climatica, può e deve fare notizia. In prima pagina

Il catastrofico declino della biodiversità della Terra è ormai un chiarissimo indice che il nostro Pianeta stia attraversando la sesta ondata di estinzione di massa. Ovunque assistiamo tristemente alla scomparsa di uccelli, grandi predatori, coralli, spazzati via dalla distruzione dei loro habitat, dalla caccia e dalla crisi climatica.

Quando però una specie scompare dalla memoria comune si parla allora di una seconda estinzione definita come “sociale”. Seppure questi due tipi di estinzioni non siano per forza concatenati, il risultato è ahinoi lo stesso: la perdita di una forma di vita. 

Ve lo raccontiamo qui su greenMe tutti i giorni, purtroppo. Ma questo genere di notizie non interessano ai media generalisti solitamente, soprattutto in Italia.

Affinché il ricordo degli esseri viventi che si sono estinti per mano dell’umanità non cada nell’oblio, il The Guardian ha invece lanciato una rubrica dal titolo “Extinction obituary – obituario dell’estinzione” dove, come un susseguirsi di necrologi, raccoglie storie e approfondimenti su tutte le specie animali che non popolano più il Pianeta. Una sezione che ogni giornale dovrebbe avere.

Il primo fascicolo: il po’ouli  hawaiano

È il po’ouli ad inaugurare il registro, un uccello canoro che viveva a Maui, nell’arcipelago delle Hawaii, nella foresta pluviale di Hana. La sua specie fu avvistata per la prima volta nel lontano 1973 e già allora si contavano 200 esemplari. 

Nel 1997 l’ecologista britannico Paul Baker catturò un po’ouli per osservare accuratamente questa specie endemica delle Hawaii. Il suo peso era poco più di 26g ed i suoi colori sorprendenti. Il piumaggio dell’uccello aveva sfumature e tonalità che di ogni tipo, dal seppia al terra di Siena, dal cannella scure al marrone militare fino al nero opaco.

Baker descrisse le abitudini alimentari del po’ouli prima di liberarlo nelle sue foreste pluviali. L’uccello si nutriva di lumache di terra, scarafaggi e larve e cinguettava di rado, essendo piuttosto silenzioso.

Il suo declino

Da 200 gli esemplari di po’ouli divennero solamente 3 nel nuovo millennio poiché per gli uccelli era diventato sempre più arduo procacciarsi le lumache di terra. Queste costituivano un alimento base per i maiali domestici europei qui introdotti, i cui allevamenti avevano stravolto l’aspetto di Maui.

Oltre alla perdita dell’habitat, moltissimi po’ouli furono predati da manguste, topi ed altre specie. Le loro uova, lasciate incustodite, vennero in egual modo trafugate.

Nel 2002 alcuni etologi e ricercatori giunsero alla conclusione che i 3 po’ouli ancora in vita non si erano probabilmente mai incontrati. Prelevarono così una femmina di po’ouli e la rilasciarono nelle immediate vicinanze in cui era stato avvistato un maschio. Le aspettative per la riproduzione della specie erano alte, ma furono purtroppo disattese.

Nel 2004, un team di esperti tentò l’ultima spedizione sul monte Haleakalā e catturò l’unico esemplare vivente di po’ouli. L’uccello era però visibilmente malato ed aveva perso un occhio. Tre mesi dopo l’ultimo po’ouli del mondo morì e nel 2019 l’IUCN dichiarò la specie estinta.

 

Si conclude così la storia del vulnerabile po’ouli delle Hawaii.

Fonte: The Guardian

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