Conflitto orsi-uomo: dagli spray al peperoncino alle zone off-limits, tutte le buone pratiche adottate in Abruzzo e nel resto del mondo (ma non in Trentino)

In tutto il mondo le misure per la gestione degli orsi sono molteplici, ma solo il Trentino sembra non conoscerle o non volerle (ancora) attuare dopo il progetto Life Ursus per riportare il plantigrado nei nostri boschi. Convivere con l'orso non è un'utopia, basta volerlo, da qui la messa in sicurezza di cittadini, attività e non per ultimo degli orsi

Si continua a discutere della morte di Andrea Papi, il giovane runner trovato privo di vita a Caldes, in Val di Sole. L’autopsia disposta dall’autorità giudiziaria ha rivelato le cause del decesso e nella regione è caccia all’orso per procedere alla cattura e all’abbattimento del plantigrado “colpevole” e di altri simili etichettati come “problematici”.

Tra questi vi è l’orso MJ5, che ha ferito lievemente un escursionista in giro con il suo cane non molto tempo fa.

La vicenda, rimbalzata su tutte le testate giornalistiche, riporta in luce una questione tuttora articolata: come gestire gli orsi etichettati problematici e/o confidenti? Le misure per la gestione della fauna selvatica che ciascun Paese decide di attuare sono infatti molteplici. Queste hanno l’obiettivo di garantire l’incolumità pubblica senza dimenticarsi della tutela dei plantigradi, sconosciuta ahinoi in alcuni territori come il Trentino.

Alcuni esempi sono forniti dal Bear Conflict Solutions Institute, Alberta, Canada. Il centro si occupa di educare la comunità a convivere con gli orsi. Non servono investimenti colossali e nemmeno armi da fuoco. Ma allora come? Attraverso un semplicissimo spray al peperoncino, la soluzione più efficace e non letale alla portata di tutti.

Secondo l’istituito, gli spray sono “la migliore  e unica misura di protezione in una interazione ravvicinata uomo-orso” e sono i dati a parlare. Dal 1985 al 2006 sono stati analizzati 83 incidenti con orsi selvatici, tra cui anche orsi polari, avvenuti in Alaska. In 72 casi le persone hanno utilizzato spray deterrenti, bloccando il comportamento indesiderato di orsi bruni il 92% delle volte, il 90% di orsi neri e il 100% di orsi polari.

Oltre agli spray, si suggeriscono reti elettrificate e sistemi di allarme come sirene per allertare la cittadinanza in caso di incontro ravvicinato di orsi. Lo stesso in Romania dove è distribuita la più vasta popolazione di orsi bruni d’Europa o in Spagna e in Francia dove gli esperti ribadiscono l’urgenza di predisporre cassonetti a prova d’orso o recinzioni quali attività prioritarie.

D’altronde, non bisogna recarsi dall’altra parte del mondo per imparare a far fronte alle emergenze dei grandi carnivori. Nella nostra bella Italia una chiara dimostrazione giunge dalle aree comprese nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

Qui si lavora sulla dissuasione per gli orsi troppo confidenti, monitorando i loro spostamenti tramite radiocollari. L’orsa Gemma è tra questi. Da oltre dieci anni questa femmina di orso bruno è protagonista di incursioni in pollai, allevamenti di conigli e orti. Nel suo caso, e in quello di altri suoi simili, si è provveduto con investimenti per la messa in sicurezza delle zone di interesse di Gemma.

In Abruzzo i cani possono essere condotti, sempre al guinzaglio, solo nelle aree di fondovalle.

“I cani non possono circolare liberamente per il Parco, perché potrebbero incontrare la fauna selvatica che, anche se non direttamente attaccata dall’animale, può subire un forte stress. La ragione principale di questo limite è però che i nostri cani potrebbero essere vettori di molte pericolose patologie per la fauna selvatica”, si legge sul sito del Parco.

Altri sentieri sono invece off-limits proprio per ridurre al minimo rischi e danni. Era il lontano 2018 quando furono consegnati i primi pollai “ad alta resistenza all’orso”, con grande entusiasmo da parte dei cittadini interessati. Ideati dal Parco nell’ambito del progetto finanziato dal Ministero dell’Ambiente per la messa in sicurezza dei paesi della Marsica, i pollai “antiorso” sono nati con lo scopo principale di prevenire le predazioni all’interno dei centri abitati da parte degli orsi confidenti, superando anche le difficoltà legate alla manutenzione delle recinzioni elettrificate.

“Proteggere le galline sarà un modo per proteggere anche l’orso, eliminando una fonte di cibo impropria e scoraggiandolo quindi ad entrare nei paesi dove oggi trova alcune tipologie di cibo “facile”, come il pollame”, spiegava l’Ente Parco.

Questi sono sistemi che puntano davvero a limitare incidenti e incursioni nei centri abitati e lo fanno coinvolgendo amministrazioni e cittadini.

Certo, la differenza della popolazioni di orsi è notevole e ha il suo risvolto importante sulla gestione della stessa: in Abruzzo gli orsi sono stimati in un numero di  50 esemplari (mentre in Trentino sarebbero invece il doppio, un centinaio). Inoltre, gli orsi marsicani, spiegano gli esperti,  sono risultati meno aggressivi e più schivi rispetto alla popolazione di orsi del Trentino.

In precedenti studi è stato ribadito come nella maggior parte dei casi gli esseri umani siano i primi responsabili del conflitto con la fauna selvatica. Pensiamo, ad esempio, a pratiche del tutto errate come l’avvicinarsi a questa in cerca di una foto, lasciare rifiuti in giro o nutrire gli animali selvatici, rendendoli così confidenti. Ecco perché partire (anche) dalla comunicazione, dalla sensibilizzazione e dalla collaborazione delle cittadinanza e dei turisti. E, diciamolo, a volte neanche questo basta.

La domanda, in ogni caso, resta: in Trentino cosa è stato fatto? Abbiamo assistito a ordinanze su ordinanze per l’abbattimento degli orsi, che ricordiamo essere stati importati dalla Slovenia nell’ambito del progetto europeo Life Ursus. Ma sappiamo che in Trentino non c’è nessun limite d’accesso e gli orsi non sono monitorati tutti costantemente con radiocollare.

“Nessuno ci ha vietato di andare nel bosco. Se un ragazzo che va a camminare sulla montagna sopra casa viene ucciso da un orso forse qualcuno delle responsabilità se le dovrà assumere”, ha dichiarato la mamma della vittima.

Parole giustissime e che incriminano non l’orso, ma chi doveva proteggerlo dal contatto con l’uomo.

E no, le condanne a morte degli orsi in Trentino non possono e non devono essere una soluzione. 

Non servono a nulla e non risolvono il problema a monte.

Seguici su Telegram Instagram | Facebook TikTok Youtube

Leggi anche:

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Facebook