Sentenza storica, il Brasile è il primo Paese al mondo a dichiarare che l’Accordo di Parigi è un trattato sui diritti umani

I diritti ambientali sono di fatto diritti umani e così il Brasile, terra di Bolsonaro, diventa il primo Paese al mondo a riconoscere la valenza dell’Accordo di Parigi al di sopra di qualsiasi legge nazionale. Una mossa con implicazioni significative per il diritto nazionale e internazionale

Era il 2009 quando fu istituito in Brasile il Fondo Nazionale per i Cambiamenti Climatici (Fundo Clima) quale strumento della politica nazionale sui cambiamenti climatici (Fundo Clima). Ma dal 2019 non è stato mai operativo, non sono stati preparati piani annuali né erogati fondi per sostenere progetti che mitigassero il cambiamento climatico.

Fu allora, dunque, che quattro partiti di opposizione denunciarono il Governo Bolsonaro di aver abbandonato quello strumento così importante nella politica climatica nazionale. E oggi la storica sentenza: la Corte suprema brasiliana ha infatti affermato che l’Accordo di Parigi è a tutti gli effetti un trattato “sovranazionale” sui diritti umani.

Ciò vuol dire che deve necessariamente avere la precedenza sulle leggi nazionali.

Non solo, ma dopo l’adozione dell’Accordo di Parigi nel 2015, quando si evidenziò la necessità che i 197 Paesi firmatari aumentassero il loro impegno per raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5° C entro la fine del secolo e molti Paesi si dichiararono disponibili a rivedere i loro piani climatici nazionali (NDC, Nationally Determined Contributions), il Brasile andò esattamente nella direzione opposta: l’NDC presentato da Bolsonaro, infatti, non garantì una maggiore ambizione, ma anzi mise in evidenza l’indebolimento della strategia climatica e cercò di utilizzare manovre procedurali e legali per coprire il suo regresso.

La Suprema Corte Federale ora stabilisce, nella sentenza PSB et al. v. Brasile, che:

i trattati sul diritto ambientale sono un tipo di trattato sui diritti umani e, per questo motivo, godono di uno status sovranazionale. Non esiste quindi alcuna opzione giuridicamente valida per omettere semplicemente di combattere il cambiamento climatico.

La sentenza significa anche che tutte le leggi emanate dal governo brasiliano non saranno valide se contraddicono l’Accordo di Parigi e la violazione di questa sentenza o dell’accordo di Parigi è una violazione della costituzione e dei diritti umani del Paese.

Il dovere costituzionale di allocare i fondi in modo efficace significa che c’è il dovere di mitigare il cambiamento climatico considerando gli impegni internazionali nell’ambito del quadro del cambiamento climatico.

La Corte Suprema Federale del Brasile si pronuncerà presto su due ulteriori casi climatici, uno che sostiene l’attuazione del Piano d’azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione in Amazzonia e l’altro che sostiene che il Governo non sia riuscito a gestire il Fondo per l’Amazzonia.

Il Brasile è considerato “altamente insufficiente” nelle sue azioni sul clima per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e la deforestazione è la sua prima fonte di emissioni, seguita dall’agricoltura. Con il normale funzionamento, il Brasile contribuirebbe a un riscaldamento stimato di 4°C. Anche se attuasse pienamente le attuali politiche, il Brasile raggiungerebbe comunque solo un obiettivo di riscaldamento di 3°C.

Ma la sentenza potrebbe aiutare a implementare più politiche climatiche sulla base dei diritti umani e, perché no, potrebbe avere un impatto anche al di fuori del Brasile.

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Fonte: PSB et al. v. Brasile (sul Fondo per il clima)

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