Il bruco mangia plastica che potrebbe aiutare a risolvere il problema dei rifiuti nel mondo

Una nuova ricerca sul cosiddetto bruco mangia plastica ha fatto un passo avanti per capire come questo animale possa aiutarci nella lotta all'inquinamento

Forse non sapete che esiste in natura un bruco (in realtà una larva) molto goloso… di plastica. Un team di ricerca ha scoperto ora nuovi dettagli importanti su questa specie che, almeno in teoria, potrebbe dare una grossa mano a risolvere il problema dei rifiuti nel mondo.

Già nel 2017 le cosiddette tarme della cera (Galleria mellonella), parassiti che vivono nei favi delle api, sono diventate famose in quanto un’apicultrice dilettante ma esperta biochimica italiana, Federica Bertocchini, ha casualmente scoperto che possono nutrirsi di plastica.

Ora una nuova ricerca, pubblicata su Proceedings of the Royal Society B, si concentra a capire come queste larve siano in grado di digerire efficacemente la plastica, nella speranza di imparare da loro come sviluppare una soluzione all’inquinamento.

Cosa hanno scoperto i ricercatori? L’ha spiegato alla CNN Christophe LeMoine, uno degli autori dello studio e biologo presso l’Università di Brandon:

“Abbiamo scoperto che le tarme della cera sono dotate di microbi intestinali essenziali nel processo di biodegradazione della plastica. Questo processo sembra dipendere da una sinergia tra i bruchi e i loro batteri intestinali per accelerare la degradazione del polietilene”

E’ in particolare una specie di batteri presente nell’intestino di queste larve ad essere in grado di sopravvivere sulla sola plastica per un anno intero, ma i batteri e i bruchi hanno avuto più successo quando lavoravano insieme. I batteri da soli hanno infatti impiegato più tempo a rompere la plastica e anche i bruchi hanno digerito la plastica più lentamente quando gli sono stati somministrati antibiotici.

Quindi, come ha aggiunto il ricercatore:

“Fondamentalmente, il microbioma e l’ospite lavorano in sinergia tra loro per un efficace metabolismo plastico. Piuttosto che una singola specie di batteri è molto probabile che diverse specie lavorino insieme per facilitare questo processo”

LeMoine ha sottolineato poi che questi bruchi non possono essere considerati una soluzione immediata all’inquinamento da plastica, c’è ancora molto lavoro da fare per capire come questi piccoli animali, e i microbi nel loro tratto digestivo, lavorino insieme. Solo dopo si potrà, semmai, adattare quanto imparato e replicarlo su larga scala.

Un problema è sicuramente come gestire la sostanza tossica che le tarme espellono quando vengono alimentate con la plastica. I ricercatori hanno infatti scoperto che i bruchi potevano sopravvivere mangiando sacchetti di plastica per una settimana e che 60 di loro potevano consumare circa 30 centimetri durante quel lasso di tempo. Contemporaneamente, però, producevano un alcool noto come glicole.

Il professor LeMoine conclude con un suggerimento molto importante: visto che questi bruchi ancora non ci hanno svelato tutti i loro segreti per smaltire la plastica facciamo tutto quanto in nostro potere per ridurne l’uso!

Fonti: CNN/ Proceedings of the Royal Society B 

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