Referendum trivelle: 6 cose che abbiamo capito e che (forse) non sai

Quali sono ancora i punti meno chiari agli elettori? Il referendum del 17 aprile servirà davvero a fermare le trivelle?

Mancano pochi giorni al del 17 Aprile, ma ancora a oggi sono molti i punti poco chiari all’interno del dibattito in corso, che di fatto ha disorientato e confuso moltissimi cittadini sulle ragioni del Sì e del No.

Così, mentre resta da chiarire se questo esecutivo, e gli esecutivi precedenti, siano autonomi dagli interessi delle compagnie petrolifere, e dall’altra parte del Mediterraneo la Francia ha annunciato una moratoria sulle trivellazioni in mare, chiedendo il bando per tutto il Mediterraneo (proprio come aveva fatto anche la Croazia), cerchiamo di rispondere a qualche domanda ricorrente.

Quali sono ancora i punti meno chiari agli elettori? Il referendum del 17 aprile servirà davvero a fermare le trivelle?

Ecco 6 cose che abbiamo capito e che, forse, non sapete sul referendum trivelle:

1. Il referendum non chiede di fermare NUOVE trivellazioni entro una distanza di 12 miglia dalle coste italiane, che sono già vietate, e non interverrà su quello che accade OLTRE le 12 miglia. Non chiede di stoppare le attività sulle piattaforme interessate, ma di interrompere l’estrazione di metano e petrolio allo scadere delle concessioni elargite dallo stato italiano, ovvero di ripristinare la “scadenza” iniziale dei progetti, successivamente cancellata dalla Legge stabilità 2016. Alcune concessioni scadono tra un paio di anni, le altre un un arco temporale di circa 10 o 20 anni da ora.

2. Parliamo di quantità di metano e di petrolio che corrispondono rispettivamente a circa il 3 e l’1% del fabbisogno nazionale di questi idrocarburi, anche se non è detto che proprio QUEL metano e petrolio sia al momento effettivamente utilizzato dagli italiani per scaldare le proprie case o mettere in moto le proprie automobili.

3. Attualmente, gli idrocarburi vengono estratti da compagnie petrolifere in cambio di una concessione allo stato italiano. In alcuni casi, le royalty non vengono proprio incassate, perché esiste una franchigia annua (di gas o petrolio estratto) al di sotto della quale l’impresa concessionaria non deve nulla allo stato. Visto che attualmente non esistono più limiti temporali allo sfruttamento dei giacimenti, alle compagnie conviene estrarre una quota minima di combustibile all’anno, in modo da non pagare i diritti di sfruttamento (tanto hanno tutto il tempo per esaurire il giacimento con calma). Se fosse ripristinata la scadenza delle concessioni, diventerebbe più vantaggioso estrarre la maggiore quantità possibile di idrocarburi ogni anno.

4. Il numero degli addetti ai lavori coinvolti è assai difficile da stabilire con certezza. Diciamo che si parla di decine di lavoratori diretti e diverse centinaia o poche migliaia nell’indotto. In ogni caso, questi posti di lavoro nascevano di per sé “a termine”, visto che inizialmente le attività di estrazione prevedevano già una scadenza (quella cancellata dalla Legge stabilità e che il referendum vuole ripristinare).

5. Non esiste una correlazione automatica tra l’esito del referendum e lo sviluppo ulteriore di impianti a fonti rinnovabili o politiche di risparmio energetico, nel senso che il quesito referendario non riguarda, appunto, le rinnovabili o l’efficienza. È innegabile, però, da questo punto di vista, che il voto abbia un certo valore, inteso come espressione della volontà degli italiani di ripudiare i combustibili fossili come fonte di energia per il presente e per l’immediato futuro.

6. Da quando esistono, le piattaforme coinvolte nel referendum non hanno fatto registrare incidenti eclatanti. Sull’impatto degli impianti su paesaggio, ecosistema marino, salute delle popolazioni limitrofe, fondali, ecc, esistono dati diversificati a seconda della fonte (associazioni ambientaliste o altri). C’è da dire, però, che una norma del 2015 (DL 26 giugno, n. 105, ma normative analoghe sono in vigore già dal 2005) esclude le piattaforme petrolifere dalla categoria di “impianti a rischio di incidente rilevante”. Questo significa che le compagnie non hanno l’onere di dimostrare quali accorgimenti sono in grado di adottare per scongiurare, contenere o mitigare sversamenti di ingenti quantità di idrocarburi in mare. Semplicemente perché, secondo il legislatore, un incidente del genere sarebbe impossibile. Quasi la metà delle piattaforme oggetto del referendum sono state installate prima del 1986, dunque non hanno sostenuto alcun procedimento di Valutazione d’Impatto Ambientale. Sul loro impatto ambientale non esiste dunque alcuna stima o misurazione ufficiale.

Silvana Santo

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