I ponti viventi dell’India per attraversare i fiumi in piena: quando la natura diventa architettura

Le comunità indigene del Meghalaya, in India, creano ponti viventi con radici di alberi di fico, una pratica che da secoli garantisce la connettività tra i villaggi, dimostrando una straordinaria integrazione tra uomo e natura

Gli ingegnosi ponti viventi dell’India, costruiti con le radici di alberi di fico da comunità indigene come i Khasi e i Jaintia, rappresentano un esempio affascinante di architettura naturale. Nel nord-est dell’India, nello stato di Meghalaya, caratterizzato da piogge monsoniche torrenziali, questi ponti sono stati sviluppati per attraversare fiumi in piena e mantenere la connettività tra i villaggi durante i periodi più difficili.

Il processo di costruzione di un ponte vivente inizia con la piantumazione di un giovane albero di Ficus elastica lungo la riva di un fiume. Con il tempo, le radici aeree vengono allenate a crescere lungo supporti in bambù fino a raggiungere l’altra sponda del fiume, dove vengono impiantate nel terreno.

Questo metodo richiede decenni poiché le radici devono ispessirsi e intrecciarsi fino a formare una struttura stabile, capace di sopportare il peso di decine di persone contemporaneamente. Il processo di anastomosi, durante il quale le radici si fondono naturalmente, crea ponti in continua evoluzione che si rafforzano con il tempo.

Studiosi europei vorrebbero applicare concetti simili nelle città moderne

Questi ponti non sono solo una soluzione pratica per attraversare fiumi, ma svolgono anche un ruolo cruciale nell’ecosistema. Gli alberi assorbono anidride carbonica, stabilizzano il suolo e prevengono frane, offrendo al contempo rifugio a varie specie animali. I Khasi, che venerano gli alberi nella loro cultura, vedono questi ponti come una simbiosi perfetta tra uomo e natura.

Negli ultimi anni l’interesse per questa bioarchitettura si è esteso oltre l’India, con studiosi europei che esplorano la possibilità di applicare concetti simili nelle città moderne. Ferdinand Ludwig, un professore di tecnologie verdi, studia questi ponti con l’obiettivo di adattare tecniche simili per creare architetture urbane più sostenibili e rigenerative, capaci di rispondere ai cambiamenti climatici.

La speranza di molti ricercatori è che questa forma di ingegneria naturale possa essere utilizzata anche in contesti urbani, dove l’integrazione della natura potrebbe migliorare la qualità della vita. Gli alberi potrebbero così diventare elementi funzionali delle infrastrutture urbane, capaci di ridurre le temperature e migliorare la biodiversità.

I ponti viventi inoltre fanno parte integrante della cultura Khasi. Costruiti e mantenuti per generazioni, rappresentano un’eredità di sapienza indigena e un simbolo di connessione tra la comunità e l’ambiente. La Fondazione Ponte Vivente, fondata da Morningstar Khongthaw, si impegna a preservare e promuovere questa antica tradizione, attirando sempre più attenzione da parte del turismo internazionale.

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Fonte: Nature

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