Sversamenti di petrolio: il Mediterraneo è sempre più in pericolo, ci sono troppe navi

La scorsa settimana abbiamo assistito al peggior disastro ambientale avvenuto in Israele nell’ultimo decennio, provocato dalla fuoriuscita di petrolio da una petroliera. Il greggio, finito al largo delle coste israeliane e sulle spiagge, ha provocato danni enormi all’ecosistema. Ciò che è accaduto in Israele ci ricorda quanto è importante tutelare i nostri mari da disastri di questa portata. In particolare, nel Mar Mediterraneo si concentra circa il 15% del traffico marittimo globale, che sembra destinato ad aumentare del 4% all’anno.

Il disastro ambientale in Israele

Lo sversamento di circa mille tonnellate di petrolio, avvenuto la scorsa domenica al largo delle coste israeliane, avrà conseguenze sull’ambiente decenni, secondo gli esperti. Qui il greggio è arrivato persino nella Riserva Naturale di Gador, che ospita pesci, tartarughe marini e uccelli che sono stati imbrattati di catrame. Il petrolio, che ha inquinato ben 17o km di spiagge e scogliere, sembra aver provocato anche la morte di una giovane balenottera.

Il bitume sembra essere arrivato fino alle coste meridionali del Libano. Non sono ancora chiare le dinamiche dell’incidente che ha provocato lo sversamento di petrolio in mare. Intanto, da domenica tantissimi volontari stanno lavorando per rimuovere il greggio dalle spiagge e mettere in salvo la fauna locale.

Il Mar Mediterraneo sempre più trafficato e a rischio disastri ambientali

Il disastro ambientale avvenuto in Israele dimostra quanto sia vulnerabile l’ecosistema del Mar Mediterraneo, che ospita circa il 15% del traffico marittimo globale. Il Mare Nostrum è uno dei mari economicamente più importanti al mondo e genera un valore economico annuale di ben 450 miliardi di dollari derivanti da attività e risorse strettamente connesse al mare. E nei prossimi anni l’estrazione di petrolio e il gas e il traffico nautico subiranno un’ulteriore espansione, mettendo ancora più a rischio il delicato ecosistema del Mar Mediterraneo.

Come spiega il WWF, “la maggiore capacità del Canale di Suez ha raddoppiato il numero di navi da carico che attraversano il Mediterraneo, sempre più rotte si stanno aprendo, con navi sempre più grandi e questo significa sempre maggiori impatti ambientali: inquinamento acustico, collisioni con i mammiferi marini, inquinamento chimico e rischio di sversamenti sempre più alto. È evidente che la Blue Economy del Mediterraneo non abbia possibilità di crescere e prosperare nel lungo termine in un mare sempre più a rischio, e vada ripensata.”

È necessario, quindi, intervenire il prima possibile per preservare il nostro mare, minacciato già dai cambiamenti climatici, dalla pesca intensiva e dall’accumulo di rifiuti. Tutti questi fattori, a cui si aggiunge il traffico nautico e l’estrazione di gas e petrolio, stanno avendo conseguenze pesanti sulla sopravvivenza di diverse specie, tra cui le foche monache e i coralli bianchi, che sono in costate diminuzione.  Come se non bastasse, l’Italia ha il triste primato della più grande discarica di rifiuti al mondo, che si trova nei fondali dello Stretto di Messina. 

“È fondamentale ridurre l’impatto del traffico marittimo nel Mare Nostrum, per evitare le aree vulnerabili, come le aree marine protette e le riserve naturali, che sono per definizione a maggior rischio di tali impatti, nonché eliminare la dipendenza dal petrolio, responsabile come tutti i combustibili fossili dei cambiamenti climatici.” – sottolinea il WWF – “Ma questo non basta, i paesi del Mediterraneo dovrebbero infatti impegnarsi a proteggere il 30% del Mare nostrum entro il 2030, in linea con un New Deal for Nature and People, per garantire la rigenerazione degli ecosistemi marini e la salute delle attività economiche che da essi dipendono.

Se non si opterà per una serie di interventi a tutela del Mediterraneo e volti ad evitare altri disastri ambientali, molto presto il Mare Nostrum potrebbe trasformarsi in Mare Mostrum.

Fonte: WWF/Twitter

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