Così il nostro inquinamento luminoso sta disorientando foche, falene e uccelli migratori, confondendo le loro rotte

Le luci artificiali disorientano gli animali che si spostano di notte: è un altro terribile effetto dell’inquinamento luminoso

Le luci artificiali disorientano gli animali che si spostano di notte, confondendo le loro rotte: è un altro terribile effetto dell’inquinamento luminoso creato interamente da noi. Lo conferma per la prima volta uno studio condotto da un gruppo di ricerca dell’Università di Lund (Svezia) e dell’Università del Witwatersrand (Sudafrica) che avverte: ancora una volta l’uomo interferisce nella vita degli animali e negli equilibri naturali.

Le luci della città non sono solo un problema visivo, che impedisce a noi stessi di godere di un bel cielo stellato, ma limitano la capacità degli animali notturni di orientarsi con la luce naturale nel cielo notturno: sono quindi costretti a usare lampioni, neon o riflettori per non perdersi.

Alcuni animali, infatti, inclusi uccelli migratori, foche e falene, usano la luce della luna, delle stelle e della Via Lattea per navigare di notte. Recentemente era stato dimostrato anche che gli uccelli migratori si servono del campo magnetico terrestre per i loro lunghissimi spostamenti, a volte da un capo all’altro del pianeta. Ma anche gli scarabei stercorari notturni usano il cielo, in particolare la via Lattea, per orientarsi. Leggi anche: Scoperto come gli uccelli usano il campo magnetico per le migrazioni

luci artificiali animali disorientati

©Current Biology

Ma se di luci ce ne sono altre, il loro sistema di navigazione va in tilt: gli animali sono dunque costretti a cercare segnali nelle immediate vicinanze.

Questi coleotteri sono costretti ad abbandonare la loro bussola celeste e ad orientarsi utilizzando invece la luce artificiale

sentenzia James Foster, che ha guidato lo studio

©Current Biology

Davvero un altro orribile segnale di come l’uomo sia impattante sul pianeta. E di come spesso faccia finta di non saperlo.

Il lavoro è stato pubblicato su Current Biology.

Fonti di riferimento: Università di Lund / Current Biology  

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