Guerra in Ucraina: rischiamo il razionamento dei consumi energetici?

Il gas russo continua ad arrivare regolarmente e finora non sembra sia necessario razionare i consumi energetici. Ma possiamo davvero stare tranquilli? E soprattutto, è questa la strategia a lungo termine? No, ecco perché

Non ci stancheremo mai di dirlo: la nostra dipendenza dalle fonti di energia fossile è una realtà che ci sta strangolando. Lo vediamo ora in modo drammatico con la guerra in Ucraina, in primis una tragedia umanitaria ma anche il “fuoco acceso” di una guerra economica all’accaparramento di risorse non rinnovabili.

Una guerra che, dopo l’invasione dell’Ucraina, è passata a sanzioni economiche contro la Russia. Che, però, sta preparando contromisure colpendo i Paesi europei dove sono più deboli, ovvero la scarsità di materie prime. E se Mosca dovesse tagliarci davvero le forniture di gas e petrolio il rischio razionamento dei consumi è molto alto.

In un’intervista al Corriere della Sera, Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, ritiene la possibilità piuttosto concreta, definendo la situazione “drammatica”, non intravedendo alcuna soluzione a breve termine.

Che cos’è il razionamento dell’energia?

La pratica, non nuova in Italia che ha già affrontato altre crisi energetiche, implica “black put volontari” di edifici, parchi e altre strutture pubbliche. Con evidenti ripercussioni, tra l’altro, sulla sicurezza.

La Regione Lazio, recentemente, ha deciso di spegnere per due ore al giorno i riscaldamenti (cosa che in realtà si dovrebbe fare comunque per il clima) ma non si parla di questo. Secondo Tabarelli questa è un’abitudine sana ma decisamente insufficiente per affrontare la crisi.

Leggi anche: Contro la crisi energetica la Regione Lazio spegne i riscaldamenti due ore al giorno (ma si dovrebbe fare comunque)

Perché tutto quello che non abbiamo fatto prima sulle rinnovabili e in generale sulla diversificazione delle fonti energetiche non si può di certo fare in poche settimane.

Cosa dice il ministero della Transizione Ecologica

Il ministro Roberto Cingolani appare invece più ottimista.

Entro maggio potremmo sostituire circa la metà del gas russo, gestendo poi il resto in un anno e mezzo o due

Ma il punto sono proprio i tempi, il punto debole di molte politiche del nostro Paese, che spesso guarda all’immediato, alla “toppa” e non alla manutenzione a lungo termine dei problemi.

Già prima dello scoppio della guerra, la Russia di Vladimir Putin stava minacciando l’Occidente di tagliare le esportazioni di gas da cui molti Paesi sono dipendenti. Secondo gli ultimi dati Eurostat disponibili, nel 2019 l’Unione Europea importava il 41,1% del suo gas naturale dalla Russia.

E il nostro sistema nazionale del gas, in particolare, è alimentato prevalentemente con gas prodotto in Paesi stranieri, soprattutto Russia, Algeria, Libia, Olanda e Norvegia, Qatar, Azerbaijan, importato per mezzo di gasdotti internazionali o trasportato via mare in forma liquefatta come GNL e tramite terminali di rigassificazione. Se la Russia tagliasse davvero le esportazioni, l’Italia perderebbe quasi la metà del gas naturale che usa in ambito civile e industriale.

Anche ammettendo che da ora a maggio ci siano riserve sufficienti, ci domandiamo davvero il significato di “gestire il resto” considerato che un anno e mezzo o due non sono affatto pochi.

A meno che, davvero, la soluzione sia far ripartire le centrali a carbone spente da tempo.

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