Fotovoltaico: dal MIT le celle solari ricavati dall’erba tagliata

Dal MIT arrivano le prime celle solari vegetali, realizzate a partire dagli scarti ed in grado di produrre energia assorbendo la luce del sole

Cosa c’è di più green di un pannello solare? Un pannello solare vegetale ricavato dall’erba tagliata! E dobbiamo ringraziare un team internazionale di ricercatori se in un futuro non troppo lontano le celle fotovoltaiche potranno essere realizzate attraverso il materiale vegetale di scarto, diventando così un’alternativa economica e pulita alle celle solari tradizionali.

In particolare, l’idea di utilizzare ciò che Madre Natura ci offre per soddisfare il nostro fabbisogno energetico, rispettando l’ambiente, è del ricercatore del MIT, Andreas Mershin, che ha ripreso un progetto avviato otto anni fa da Shuguang Zhang, scienziato e direttore associato del MIT Center for Biomedical Engineering.

Nel suo lavoro originale, Zhang era riuscito a mettere insime un complesso di molecole conosciute come fotosistema-I (PS-I), ossia piccole strutture all’interno delle cellule vegetali che svolgono la fotosintesi. A quel punto, insieme ai colleghi, ha utilizzato il PS-I delle piante, stabilizzato chimicamente e posto a formare uno strato sul vetro che avrebbe potuti – come una convenzionale cella fotovoltaica – produrre corrente elettrica quando esposto alla luce.

Tale sistema, in un primo momento, aveva evidenziato qualche difficoltà visto che l’assemblaggio e la stabilizzazione delle sostanze chimiche necessarie al processo richiedevano sofisticate e costose attrezzature di laboratorio. Inoltre, la prima cella solare realizzata era piuttosto debole: la sua efficienza infatti era troppo bassa per garantire un bilancio positivo in termini energetici.

Ma oggi, secondo quanto riferisce lo stesso Mershin in una nota, il processo è stato semplificato al punto da riuscire a realizzare in ogni laboratorio la speciale cella, permettendo ai ricercatori di tutto il mondo di iniziare ad esplorare il processo ed apportare eventuali miglioramenti.

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E c’è da stare allegri visto che rispetto al primo tentativo, quest’ultimo sembra essere andato molto meglio. L’efficienza del nuovo sistema è 10.000 volte superiore rispetto alla versione precedente, anche se rimane ancora da migliorare.

La chiave per raggiungere questo enorme miglioramento dell’efficienza, secondo lo studioso, è stata quella di trovare un modo per esporre una maggiore superfiche del PS-I al sole. Il precedente lavoro di Zhang aveva semplicemente prodotto un sottile strato di materiale.

Così, com’egli stesso ha spiegato, ispirandosi al modo in cui i pini prendono la luce, nel buio dei boschi, Mershin ha deciso di “creare una foresta su un microscopico chip”.

Oltre ai vantaggi sotto il profilo della sostenibilità ambientale e dell’approvvigionamento energetico, un ulteriore punto a favore della cella vegetale è quello di riuscire ad aiutare anche le popolazioni dei villaggi dove ancora la luce è un miraggio. Queste popolazioni, infatti, potrebbero utilizzare i rifiuti agricoli, privi di valore, come materia prima. In pochi anni, secondo Mershin diremo addio al kerosene, ancora oggi “la fonte più diffusa di illuminazione in tali luoghi”.

Babak Parviz, professore associato di ingegneria elettrica presso l’Università di Washington e specializzato in bionanotecnologie, ha aggiunto: “È un grande passo verso l’integrazione delle biomolecole per la costruzione di celle solari ed è molto promettente per la creazione di celle fotovoltaiche organiche che possano utilizzare nuclei biologicamente (naturalmente) prodotti.”

La ricerca è stata pubblicata su Nature.

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