Amazon, Ikea, Nestlé e altri non riusciranno ad abbattere le emissioni di CO2 nei tempi previsti

Politiche poco trasparenti e compensazione per provare a gonfiare i dati relativi al processo di decarbonizzazione messo in atto dalle aziende. Ma l'ambiente non sta alle nostre prese in giro

La Cop26 ha puntato i riflettori sull’urgenza di raggiungere il prima possibile gli obiettivi di emissioni zero entro il prossimo 2050, se vogliamo provare a contenere l’aumento delle temperature globali entro +1.5°C per il 2100. Oltre agli obiettivi che i vari governi del mondo si sono prefissati, anche diverse grandi aziende hanno lanciato slogan relativi al loro impegno in favore del clima, annunciando il drastico calo delle loro emissioni entro i prossimi pochi anni.

Si tratterebbe di obiettivi irraggiungibili nel concreto e, pertanto, di una mera manovra di greenwashing – stando all’associazione no-profit Carbon Market Watch, che ha pubblicato proprio oggi un nuovo report: le emissioni di diossido di carbonio da parte delle 25 imprese multinazionali più importanti al mondo – fra cui spiccano i nomi di Amazon, Google, Ikea, Nestlé – si ridurranno solo del 40%, e non del 100% come dichiarato. Secondo i curatori del report, è una questione di scarsa trasparenza delle imprese, che non presentano obiettivi chiari e misurabili.

Con l’aumento della pressione sulle aziende affinché agiscano sui cambiamenti climatici, le loro affermazioni dal suono ambizioso troppo spesso mancano di reale sostanza, il che può fuorviare sia i consumatori che le autorità di regolamentazione che sono fondamentali per guidare la loro direzione strategica. Anche le aziende che stanno facendo relativamente bene esagerano le loro ambizioni – ha affermato Thomas Day di NewClimate, l’autore principale del rapporto.

Ciò che preoccupa maggiormente attivisti ed esperti è il raggiungimento degli obiettivi nel breve termine – quelli determinanti per limitare gli effetti del riscaldamento globale. Di fronte alla necessità di dimezzare le emissioni di gas serra entro il prossimo 2030, le aziende prese in esame si sono dette disponibili a ridurre le emissioni solo del 23% circa – e buona parte di questa riduzione viene ottenuta per compensazione, ovvero coltivando alberi o preservando la salute delle foreste, senza agire attivamente per abbattere la portata delle emissioni.

Le aziende sono state valutate in base a diversi criteri – tra cui gli obiettivi proposti e la loro trasparenza, il ricorso alla compensazione e i progressi “reali” nella riduzione delle emissioni. Nessuna delle 25 aziende è stata in grado di raggiungere un rating elevato in tutti i parametri di riferimento. Il ricorso eccessivo alla compensazione è stato uno dei principali motivi delle valutazioni negative: molti progetti di compensazione sono stati giudicati poco trasparenti o addirittura fraudolenti.

Compensare le emissioni piantando nuovi alberi non porta a risultati tangibili e trasparenti, misurabili – e per questo le aziende possono mascherare la realtà e gonfiare i dati relativi ai propri risultati. Inoltre, piantare alberi non contribuisce nell’immediato a contrastare l’aumento delle temperature: mentre il carbonio immesso nell’atmosfera manifesta subito i suoi effetti negativi sull’ambiente, un albero piantato oggi ha bisogno di decenni per crescere e immagazzinare il carbonio presente nell’aria, dando così il proprio contributo nel contrasto alla crisi climatica.

Il greenwashing non è un crimine senza vittime poiché i consumatori e i decisori politici sono ingannati nel pensare che le aziende stiano facendo tutto il possibile per affrontare il loro impatto sul clima – osserva Gilles Dufrasne, di Carbon Market Watch. – Le più grandi aziende del mondo hanno l’enorme responsabilità di essere all’altezza della sfida che stiamo affrontando. Oggi non ci riescono ed è tempo che i governi intervengano per regolamentare le rivendicazioni aziendali e porre fine alla pubblicità ingannevole.

Ma vediamo qualche esempio della discrepanza fra gli obiettivi lanciati dalle aziende e la realtà concreta dei fatti. Il motore di ricerca Google si è dichiarato carbon neutral dal 2007, con l’obiettivo di diventare carbon free entro la fine di questo decennio: in realtà, l’obiettivo propagandato esclude più della metà delle emissioni dell’azienda, addirittura aumentate negli ultimi tre anni – l’affermazione di neutralità carbonica deriva perlopiù da operazioni di compensazione. Anche il brand svedese Ikea ha come obiettivo il raggiungimento di emissioni zero entro il 2030, ma attualmente le emissioni di gas serra sono state ridotte solo del 15% in maniera trasparente – il resto è stato calcolato attraverso parametri poco chiari.

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Fonti: Carbon Market Watch / The Guardian

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