Stiamo diventando anche noi rifugiati climatici e migranti ambientali

Siamo “rifugiati climatici”? O potremmo essere “migranti ambientali”? Forse è un po’ prematuro per affibbiare questi precisi status a noi di questa parte del globo, ma al mio risveglio stamattina – al secondo giorno di “allerta meteo”, a scuole chiuse “per fenomeni meteorologici avversi” e a Casamicciola evacuata – lo sconforto è stato tanto: ancora non siamo “costretti” (non tutti) a fuggire verso luoghi più sicuri (quali poi?), ma queste continue emergenze dovrebbero farci saltare dalle sedie

Chi ha un minimo di senno in più lo sa bene che così non va, che queste allerte saranno sempre più all’ordine del giorno. Mentre mettevo su la mia macchinetta del caffè nella mia comfort zone, stamattina, il senso di precarietà si è impossessato di mani e cervello. Bloccati, alla sola idea che i miei ragazzi che ancora dormivano avranno tra le mani un mondo agli sgoccioli. Se lo avranno.

Dormivano, un mercoledì mattina qualunque, perché oggi (e anche ieri) le scuole sono chiuse. Il Comune ha così deciso “per fenomeni meteorologici avversi”. Cio significa che quelle che ora chiamiamo “allerte meteo” sono un segno premonitore di qualcosa di molto più grosso che ci aspetta: non siamo preparati, non abbiamo mezzi né strumenti né conoscenze e si comincia con il sacrificare le fasce più facili e meno produttive: gli studenti.

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Ecco che da lì all’idea di rifugiati climatici il valzer dei miei pensieri è stato rapido: il mio non è un Paese che mi garantisce sicurezza, scuole, educazione continuata per i miei figli in questo precipitare imperterrito del clima verso il precipizio. Se non si fa qualcosa ora e subito, i giorni di pioggia e di gelo non li potremo più umanamente sopportare.

Cosa provoca il meteo impazzito

L’impossibilità – è evidente -, per molti dei Comuni italiani, di garantire la sicurezza in scuole, musei, parchi. E non solo: le piogge battenti e i venti forti provocano campagne allagate e alberi divelti, e poi frane, smottamenti ed esondazioni.

E il bello è che, se da un lato non vediamo l’ora che pioggia e neve riescano a ripristinare le scorte idriche in laghi, fiumi, terreni e montagne, le precipitazioni violente non fanno invece che portare a danni diretti sui terreni secchi che non riescono ad assorbire quell’acqua che cade furiosamente e tende piuttosto ad allontanarsi. Un disastro.

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La pioggia per essere di sollievo deve durare a lungo, insomma, e cadere in maniera costante e non troppo intensa. Altrimenti è subito “rischio idrogeologico”. Ne abbiamo parlato qui: Stamattina è stata evacuata di nuovo Casamicciola, ma quante zone a rischio idrogeologico ci sono in Italia?

In più, come spiegano da Coldiretti, l’aria fredda ha fatto precipitare le temperature con il gelo notturno che rischia di bruciare fiori e gemme di piante e alberi, con pesanti effetti sui prossimi raccolti (dopo che il caldo anomalo aveva favorito il risveglio vegetativo anticipato di noccioli, pesche, ciliegie, albicocche, agrumi e mandorle).

Siamo o non siamo tutti nella stessa barca?

È dunque esatto definirci “rifugiati climatici”? È certamente prematuro, ma pare certo che l’instabilità climatica porti inevitabilmente anche a quella della società e che ha perfettamente ragione Philipp Blom quando nel suo libro Nature’s Mutiny spiega dettagliatamente perché il cambiamento del clima è capace di portare in frantui equilibri secolari.

C’è un interessante definizione della Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), che ha recentemente parlato di “migranti ambientali”, come “persone o gruppi di persone che, per ragioni di improvvisi o progressivi cambiamenti nell’ambiente che hanno un impatto negativo sulle loro vite o sulle loro condizioni di vita, sono costrette a abbandonare le loro abitazioni, temporaneamente o permanentemente, e si trasferiscono all’interno del territorio o all’estero”.

La definizione di migrante ambientale riconosce che:

  •  i migranti ambientali non si dislocano soltanto per eventi climatici estremi, ma anche per il lento deterioramento delle condizioni ambientali e sia per scelta che per cause di forza maggiore
  • i movimenti possono verificarsi sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali
  • la migrazione può essere sia a breve che a lungo termine

Quante sono le persone costrette a spostarti per disastri ambientali e crisi climatiche?

Secondo il Global Internal Displacement Database, nel solo 2020 sono state 30,7 milioni le persone che hanno lasciato le loro case a causa di disastri naturali.

migranti clima

©IFRC

E nel 2050, a seconda del grado di catastrofismo, potrebbero essere diverse centinaia di milioni quelle che volontariamente o forzatamente migreranno per motivi legati all’ambiente. Saremo tra quelli? Saremo tutti nella stessa barca?

Oggi sento dire da certe persone che il maltempo c’è sempre stato e fanno spallucce, ma non considerano quanta devastazione in termini ambientali ci sia attorno.

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Fonti: Coldiretti / OIM / IFRC

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