Net zero o greenwashing? Lo studio che svela le falle nei piani climatici globali

Uno studio su Nature rivela che i pozzi di carbonio naturali non sono sufficienti a compensare le emissioni fossili. Gli scienziati propongono lo "Zero netto geologico" per stabilizzare il clima, puntando su riduzioni drastiche delle emissioni e maggiore trasparenza nei dati forniti dai singoli Stati

Nel dibattito globale sulla crisi climatica, l’obiettivo di emissioni nette zero ha dominato la scena come una delle soluzioni più ambiziose e apparentemente raggiungibili. L’idea del “Net zero emissions” è semplice quanto potente: bilanciare le emissioni di CO₂ generate dalle attività umane con quantità equivalenti di anidride carbonica rimossa dall’atmosfera. Tuttavia, lo studio “Geological Net Zero and the need for disaggregated accounting for carbon sinks”, pubblicato su Nature mette in discussione la solidità di questo approccio, soprattutto quando si fa affidamento eccessivo sui pozzi di carbonio naturali come foreste e oceani, i polmoni verdi e blu della Terra.

Gli scienziati avvertono: i pozzi naturali sono già sovraccarichi e non possono sostenere l’onere delle emissioni future senza compromettere la loro stessa funzionalità. Il professor Myles Allen dell’Università di Oxford, che ha guidato la ricerca, sintetizza il concetto: “Stiamo già contando su foreste e oceani per ripulire le emissioni passate. Non possiamo aspettarci che compensino anche quelle future. Entro la metà del secolo, qualsiasi carbonio che esce ancora dal terreno dovrà tornare giù, in uno stoccaggio permanente. Questo è ciò che intendiamo con ‘Zero netto geologico’.”

La crisi dei pozzi di carbonio naturali: un aiuto insostenibile

Ogni anno, foreste, oceani e altri ecosistemi assorbono circa il 50% delle emissioni globali di CO₂, un servizio ecosistemico fondamentale per contenere il riscaldamento globale. Tuttavia, secondo il dottor Glen Peters del Center for International Climate Research, questa capacità non può essere equiparata a una compensazione permanente. “Usare tutte le rimozioni naturali negli obiettivi climatici è una ricetta per un riscaldamento continuo,” avverte Peters.

Gli eventi del 2023 hanno messo in luce la fragilità di questi meccanismi. Incendi devastanti in Canada hanno rilasciato quantità di CO₂ tre volte superiori all’intera impronta annuale del Paese, mentre condizioni climatiche estreme hanno ridotto la capacità di assorbimento di foreste e terreni a livelli storicamente bassi. Come ha sottolineato il professor Jo House dell’Università di Bristol, “La terra è limitata e ne facciamo affidamento per molteplici scopi, dal cibo alla biodiversità. Non può compensare più di una parte delle emissioni fossili, e probabilmente ancora meno in futuro”.

Le regole “flessibili” del net zero

Il concetto di emissioni nette zero si basa su un presupposto: non è necessario eliminare tutte le emissioni se si riesce a compensarle con rimozioni equivalenti. Ma cosa succede quando la contabilità climatica diventa opaca? Lo studio su Nature denuncia che le attuali regole consentono ai governi di prendersi il merito di rimozioni di CO2 che avvengono indipendente dall’impegno dell’essere umano, come quelle legate al ciclo del carbonio negli ecosistemi incontaminati. Questo sistema, spesso mal gestito, crea un’apparente parità tra emissioni di combustibili fossili e assorbimenti naturali.

La professoressa Kirsten Zickfeld della Simon Fraser University avverte: “Compensare l’uso continuo di combustibili fossili con la rimozione del carbonio non sarà efficace se la rimozione è già parte del ciclo naturale e se il carbonio non è immagazzinato in modo permanente“.

Un esempio emblematico è quello delle foreste pluviali amazzoniche, spesso incluse nei piani climatici dei Paesi per dimostrare progressi verso gli obiettivi di zero netto. Ma questi processi naturali non compensano realmente le emissioni: sono semplicemente una parte del funzionamento naturale del Pianeta.

Zero netto geologico: un nuovo paradigma per il clima

Per evitare che lo zero netto diventi uno strumento di greenwashing, gli autori dello studio propongono lo zero netto geologico. Questo approccio prevede che ogni tonnellata di CO₂ emessa venga bilanciata con lo stoccaggio geologico, ovvero un confinamento permanente del carbonio nel sottosuolo.

Ma questa strategia è tutt’altro che semplice. Il confinamento geologico richiede investimenti massicci, innovazioni tecnologiche e un drastico ridimensionamento dell’uso dei combustibili fossili. Senza questi cambiamenti strutturali, avvertono gli scienziati, i Paesi continueranno a sfruttare i pozzi naturali come una soluzione di comodo, rimandando azioni decisive.

Il rischio, come evidenziato dal professor Allen, è che il mondo si ritrovi intrappolato in un ciclo di dipendenza da soluzioni temporanee. “Dobbiamo proteggere le foreste e gli oceani perché forniscono un servizio cruciale, ma non possiamo fingere che compensino l’uso continuo di combustibili fossili”, ha dichiarato.

Il problema della contabilità del carbonio: la “questione Grassi”

Un altro nodo critico riguarda le discrepanze nei metodi di misurazione delle emissioni e degli assorbimenti. Secondo Giacomo Grassi, membro senior dell’IPCC, esistono due sistemi di contabilità climatica: uno basato su modelli globali e uno sui dati raccolti a livello nazionale. Queste differenze metodologiche generano scarti enormi, fino a 7 miliardi di tonnellate di CO₂ all’anno, equivalenti al 10% delle emissioni globali, come ha raccontato il giornalista Ferdinando Cotugno su Domani.

“Net zero emissions” è il concetto politicamente più influente nella storia della scienza del clima. Al fine di stabilizzare le temperature globali, dobbiamo ridurre quanto più possibile le emissioni fossili di CO2 e compensare quelle residue (e davvero inevitabili) con assorbimenti antropogenici di CO2. L’implementazione del concetto di Net zero, però, può essere messa a rischio da diverse interpretazioni di cosa sia l’assorbimento antropogenico di CO2 da parte delle foreste”, ha raccontato Grassi, in un post su LinkedIn, riferendosi a un evento tenuto alla COP29, cui ha partecipato insieme al chair IPCC Jim Skea e ad altri 100 partecipanti online.

Andare oltre il Net zero?

Le implicazioni di questa ricerca sono profonde e scomode. Da un lato, raggiungere lo zero netto rappresenta una sfida titanica per molti Paesi. Dall’altro, emerge che nemmeno questo potrebbe bastare a stabilizzare il clima.

Serve un cambiamento radicale di prospettiva: proteggere i pozzi di carbonio naturali non come strumento per compensare le emissioni, ma per garantire che possano continuare a svolgere il loro ruolo cruciale ecosistemico e anche di regolatori del clima. Allo stesso tempo, è indispensabile accelerare gli sforzi per ridurre le emissioni alla fonte e investire in tecnologie di stoccaggio geologico. Come ha concluso il dottor Peters, “Rietichettare le cose non fermerà il riscaldamento globale“.

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