Dalle frane alle alluvioni, pubblicato finalmente il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

La crisi climatica sta provocando una intensificazione dei fenomeni estremi, evidenziando anche le croniche carenze del nostro territorio. Finalmente, dopo cinque anni, il mai approvato, il Pnacc, l’agognato Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, torna in una versione parzialmente aggiornata

Pubblicato da poche ore sul sito del Ministero dell’Ambiente il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), in corner a fine anno e dopo un’attesa di cinque anni. Ora sarà sottoposto alla consultazione pubblica prevista dalla procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas).

Il Pnacc rappresenta uno strumento di programmazione essenziale per Pn paese come il nostro, segnato da una grave fragilità idrogeologica – si sbriga a precisare il Ministro Pichetto.

Peccato che però questo stesso iter era partito nel 2017, poi, tra lunghissimi ritardi, l’intera procedura è stata riavviata solo l’anno scorso.

Nel frattempo però la crisi climatica ha continuato a infierire danni pesanti al territorio: l’Italia è tra i Paesi più esposti – l’aumento della temperatura rispetto al periodo 1880-1909 è circa +2,5°C, più del doppio del valore medio globale –, con eventi meteo estremi che stanno aumentando di frequenza e intensità.

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Il Piano di adattamento climatico

Come si legge nella nota, l’obiettivo del Piano è fornire un quadro di indirizzo nazionale per implementare azioni per ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, migliorare la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici, nonché trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche.

Nello specifico, il Piano analizza:

I mari

Le variazioni del livello del mare attese per il periodo 2036-2065 sono “pari a circa 16 cm nell’Adriatico, nel Tirreno e nel Mar Ligure e 17 cm nel Mar Ionio e nel canale di Sicilia, mentre nel Mediterraneo occidentale arrivano ai 19 cm”. L’anomalia della temperatura superficiale invece mostra che tutte le aree costiere italiane saranno caratterizzate da un aumento di temperatura rispetto al periodo di riferimento 1981-2010″. Questo aumento varia “da un minimo di 1.9 gradi nelle zone del Mediterraneo centrale e occidentale e nel mar Ligure ad un massimo di 2.3 gradi nell’Adriatico settentrionale e centrale.

La montagna

La criosfera, l’insieme di neve, ghiacciai e permafrost, “è fortemente impattata dai cambiamenti climatici”. Infatti “negli ultimi decenni la durata e lo spessore della neve si sono fortemente ridotti così come lo stock idrico nivale che si accumula ogni anno a fine inverno”. In conseguenza di ciò “i ghiacciai hanno già perso dal 30 al 40% del loro volume“. La durata della copertura nevosa nei fondo-valle e sui versanti meridionali fino a 2.000 metri “si ridurrà di 4/5 settimane e di 2/3 settimane a 2.500 metri”.

Il ritiro dei ghiacciai “continuerà ad accelerare così come la degradazione del permafrost”.

Il ciclo dell’acqua

Gran parte degli impatti dei cambiamenti climatici “sono riconducibili a modifiche del ciclo idrologico e al conseguente aumento dei rischi che ne derivano“.  In riferimento al trentennio 1991-2020, in Italia si è stimato un apporto di acqua piovana di circa 285 miliardi di m3, corrispondente ad un’altezza di precipitazione media annuale di circa 943 mm. Il 53% delle precipitazioni (circa 498 mm) è ritornato in atmosfera per evapotraspirazione; il restante 47%, rimasto al suolo, viene ripartito tra infiltrazione nel sottosuolo (21%) e deflusso superficiale (26%). Nel 2020 si è registrato un calo delle precipitazioni rispetto al periodo climatico 1971-2000. In particolare, si è verificata una precipitazione totale annua pari a 661 mm corrispondente ad una diminuzione di precipitazione di -132 mm.

Le precipitazioni annue totali per le diverse regioni italiane, mostrano anomalie di distribuzione significative sul territorio in linea con le previsioni messe in luce nell’ultimo rapporto Ipcc 2022, che stanno determinando, sia a scala globale che nazionale, delle anomalie meteoclimatiche critiche ed estreme. La quantità delle risorse idriche rinnovabili in italia corrisponde a circa 116 miliardi di m3. Non sono disponibili i dati recenti sui volumi di acqua effettivamente utilizzabili, stimati dalla snac (strategia nazionale adattamento climatico) attorno ai 52 miliardi di m3. I principali settori utilizzatori della risorsa sono l’agricoltura (circa 20 miliardi di m3 ì), l’idropotabile (9,5 miliardi di m3) e l’industria manifatturiera (5,5 miliardi di m3).

Il dissesto idrogeologico

I fenomeni di dissesto geologico, idrologico e idraulico (inondazioni, frane, erosioni e sprofondamenti) “sono diffusi e frequenti” e hanno già provocato vittime e gravi danni.

Sebbene le peculiarità naturali del territorio italiano giochino un ruolo fondamentale nell’origine di tali fenomeni, diversi fattori antropici contribuiscono in maniera determinante all’innesco o all’esacerbazione delle loro conseguenze.

Le temperature

Gli incrementi di temperatura a livello italiano “sono previsti essere leggermente superiori” rispetto ai valori di aumento medio a livello mondiale. Per quanto attiene la temperatura media, “entro il 2100 è attesa mediamente sull’area italiana una crescita con valori compresi tra 1 grado e 5 gradi“.

Le foreste

La combinazione di cambiamenti climatici e abbandono delle aree rurali e forestali, se non affrontato correttamente, potrà esacerbare la problematica degli incendi e provocare eventi sempre più intensi e significativi, in grado di determinare ingenti perdite economiche, ambientali e sociali.

In Italia le aree che storicamente hanno subìto i danni più rilevanti in termini di superficie bruciata sono localizzate principalmente nella parte meridionale della penisola, nelle isole maggiori e nella fascia costiera ligure e toscana. Il fenomeno degli incendi boschivi in Italia, che tra l’altro contribuiscono all’emissione in atmosfera di quantità non trascurabili di anidride carbonica, “presenta nel tempo un andamento altalenante si osserva un periodo critico a metà degli anni ottanta, cui sono seguiti anni in cui il livello del fenomeno si è mantenuto complessivamente elevato“.

L’agricoltura

Le riduzioni attese nelle rese agricole a causa dei mutamenti climatici “sono stimate portare ad una riduzione del valore della produzione aggregata pari a 12.5 miliardi di euro nel 2050 che potrebbero aumentare fino a 30 miliardi“. Il danno, soprattutto alle produzioni pregiate, “potrebbe inoltre portare ad una progressiva perdita di valore fondiario dei terreni agricoli”. Le stime variano tra un deprezzamento “dell’1-11% al 4-16% a fine secolo”.

Gli agrosistemi, infatti, saranno soggetti a variazioni in termini di durata del ciclo fenologico, produttività e potenziale spostamento degli areali di coltivazione tipici (verso nord e quote più elevate), con risposte differenti in intensità e segnale a seconda della specie e delle aree geografiche di riferimento.

Le maggiori riduzioni di resa sono previste per le colture a ciclo primaverile-estivo (mais, girasole, soia), specialmente quelle non irrigate come il girasole. Tuttavia, colture classificate come c3, come ad esempio il frumento, il riso, l’orzo, “potranno in parte compensare gli impatti negativi delle mutate condizioni climatiche in quanto capaci di rispondere più efficientemente agli effetti diretti dell’aumento della concentrazione atmosferica di CO2 rispetto alle specie c4 (come mais, sorgo, miglio)”.

Per le colture arboree, come ad esempio vite e olivo, “la variazione del regime delle precipitazioni e l’aumento della temperatura potranno determinare una riduzione qualitativa e quantitativa delle produzioni nelle aree del sud italia e potenziali spostamenti degli areali di coltivazione verso regioni più settentrionali o altitudini maggiori”.

Il turismo

La situazione del turismo italiano è “destinata a cambiare in conseguenza dei cambiamenti climatici” con “effetti diretti e indiretti”. Il settore turistico è infatti “particolarmente sensibile alle caratteristiche meteorologiche e di comfort climatico, soprattutto nel caso di turismo balneare e montano“.

In uno scenario di aumento della temperatura di 2 gradi, si stima una riduzione del 15% degli arrivi internazionali, del 21,6% in uno scenario di incremento di 4 gradi. Tenendo conto anche del comportamento dei turisti nazionali, l’impatto netto sulla domanda totale italiana risulta comunque in una contrazione del 6,6% e dell’8,9% con perdite dirette per il settore stimate in 17 e 52 miliardi di euro nei due scenari climatici, rispettivamente.

Per il segmento turistico invernale secondo l’Ocse “già in caso di una variazione moderata di temperature (+1 gradi), nessuna delle stazioni sciistiche del Friuli Venezia-Giulia avrebbe una copertura nevosa naturale sufficiente a garantire la stagione”. Lo stesso accadrebbe “al 33%, 32% e 26% delle stazioni in Lombardia, Trentino e Piemonte, rispettivamente”. Ma “con un aumento di 4 gradi solo il 18% di tutte le stazioni operanti nel complesso dell’arco alpino italiano avrebbe una copertura nevosa naturale idonea a garantire la stagione invernale”. Numeri a rischio in quanto gli impatti principali del cambiamento climatico sul turismo in italia sono collegabili ad “una possibile perdita di attrattiva del clima mediterraneo che diverrebbe ‘troppo caldo’ o instabile (ondate di caldo, eventi estremi), alla riduzione dei giorni di copertura nevosa nelle tipiche destinazioni del turismo invernale, all’erosione delle coste ed eventi meteorologici estremi che mettono a rischio le infrastrutture turistiche balneari e non”.

Esaminate le osservazioni e conclusa la procedura di VAS, il testo andrà all’approvazione definitiva con decreto del Ministro. Si procederà poi all’insediamento dell’Osservatorio Nazionale, che dovrà garantire l’immediata operatività del Piano attraverso l’individuazione delle azioni di adattamento nei diversi settori.

Questo è quanto, vedremo ora presto – come dicono gli esperti – se questo Piano risponderà all’esigenza di attrezzarsi per una situazione molto pericolosa qual è quella dell’Italia.

QUI puoi consultare il PNACC.

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Fonte: Ministero dell’Ambiente

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