L’Artico è ancora senza ghiaccio! La riduzione della banchisa al Polo Nord è drammatica (e ci espone a conseguenze drammatiche)

La banchisa polare artica è ai livelli di estensione più bassi da quando sono iniziate le rilevazioni 40 anni fa.

Il ghiaccio artico? Ormai quasi inesistente. A causa del riscaldamento globale, il ghiaccio tarda a formarsi, tanto che la banchisa polare è ai livelli di estensione più bassi da quando sono iniziate le rilevazioni 40 anni fa. Se sulla regione siberiana centro-orientale il periodo gennaio-giugno ha conosciuto gravi anomalie termiche senza precedenti, con picchi fino a 36-38 °C, il mese di ottobre appena trascorso non è andato affatto meglio.

Già nelle scorse settimane uno studio aveva evidenziato che, per la prima volta nella storia, nell’Artico non si era ancora riformato il ghiaccio. Ora il Lamma, Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale per lo sviluppo sostenibile, fornisce un ultimo sconfortante dato: tra il 12 e il 28 ottobre si sono osservati al Polo Nord 3,2 milioni di kmq di banchisa di ghiaccio in meno.

Proprio a causa (anche) delle eccezionali temperature estive in Siberia, per il Polo Nord l’estate 2020 è stata la più calda da quando si osservano sistematicamente i dati, dal 1979, e ciò ha portato a una forte riduzione della banchisa.

ghiaccio artico

©LEMMA

A metà settembre si è registrata in effetti la seconda minor estensione degli ultimi 40 anni: 3,7 milioni di chilometri quadrati contro una media di 6,2 milioni ovvero -41% di estensione.

Di conseguenza, a metà settembre sul mar glaciale si sono registrati oltre 2,5 milioni di kmq di banchisa in meno. E non si è fermata lì: questa vera e propria anomalia è andata via via aumentando fino a raggiungere valori mai osservati prima.

Tra il 12 e il 28 ottobre al Polo Nord, in media, si sono osservati 3,2 milioni di km quadrati di pack (che è lo strato di ghiaccio marino derivante dallo sgretolamento della banchisa) in meno, con un picco di -3,4 milioni di kmq al 22 di ottobre.

ghiaccio ottobre artico

©LEMMA

Un quadro, questo, che in sostanza corrisponde a quello delineato dal sistema europeo Copernicus, che proprio in questi giorni he ha registrato il risultato peggiore dall’avvio delle rilevazioni nel 1979, evidenziando un altro aspetto importante per l’Artico: il mese di ottobre 2020 è stato il quarto consecutivo senza ghiaccio o quasi lungo l’intera Rotta del Mare del Nord.

Animali a rischio

Questa autentica apocalisse non risparmierà ovviamente gli animali artici, i primi a dover fare i conti con il riscaldamento globale.  Gravidanze anticipate e movimenti migratori sballati i primi segnali di un disastro imminente.

A sottolinearlo è una ricerca della Ohio State University pubblicata sulla rivista Science che ha agglomerato i dati relativi a oltre 200 progetti di ricerca che tracciano i movimenti di 8mila animali marini e terrestri di 96 specie negli ultimi 30 anni.

Gli studiosi hanno messo a punto la banca dati Aama (Arctic Animal Movement Archive) basata su tre decenni di monitoraggio degli animali artici e l’hanno utilizzata per cercare segni di eventuali cambiamenti nel comportamento e nelle abitudini di aquile reali, orsi, renne, alci e lupi.

Come si può immaginare, dai risultati è emerso che il riscaldamento del pianeta sta influenzando il modo in cui gli animali si muovono, mangiano e si accoppiano. Le aquile, per esempio, migrano in anticipo: dal 1993 al 2017 è stato scoperto che gli uccelli che hanno raggiunto il Nord in primavera in genere sono arrivati in anticipo dopo un inverno mite, supponendo così che il clima più calda possa spingerli a migrare prima. Ma ciò potrebbe incidere negativamente anche sulla nidificazione e sulla sopravvivenza stessa dei pulcini.

Così come pure si è evidenziato che le renne partoriscono prima e i cuccioli sono a rischio: monitorando più di 900 femmine dal 2000 al 2017, i ricercatori hanno scoperto che le mandrie che vivono più a Nord stanno cominciando a partorire prima in primavera. Un vero e proprio rischio se si considera che le nevicate che arrivano in tarda primavera potrebbero uccidere i cuccioli nati all’inizio della stagione.

renne migrano

©iStock/Geoffrey Reynaud

I ricercatori hanno infine analizzato la velocità con cui gli orsi, le renne, le alci e i lupi si sono spostati nella regione dal 1998 al 2019 e hanno scoperto che alci e renne hanno cominciato a muoversi di più nei giorni con temperature più elevate, con la conseguenza per gli erbori di avere più difficoltà a trovare cibo e a evitare i predatori.

Fonti: LEMMA / MPG

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