Grano e mais in Italia, via libera alla semina di altri 200mila ettari di terreno

Per rendere la comunità europea sempre più indipendente dalle importazioni di cereali come grano e mais, l'UE "sblocca" milioni di ettari per la coltivazione. Anche l'Italia svolge un ruolo importante in questo processo

Le conseguenze del conflitto fra Ucraina e Russia non sono solo geopolitiche ed umanitarie, ma anche sociali ed economiche e, soprattutto, interessano anche Paesi non direttamente coinvolti nel conflitto – come il nostro: l’Italia, infatti, dipende da Mosca e Kiev per le forniture di petrolio e gas, ma anche per l’approvvigionamento di materie prime quali mais e grano.

(Leggi anche: Quanto grano importiamo davvero da Russia e Ucraina?)

Nell’ambito delle misure europee adottate per fronteggiare la crisi ucraina rientra la messa a coltivazione di quattro milioni di ettari di terreno comunitario – 200mila dei quali si trovano nel nostro Paese: tra le regioni maggiormente interessate dal provvedimento, secondo l’associazione Coldiretti, ci sono la Campania (10.500 ettari), la Lombardia (11.000), il Veneto (12.300 ettari), il Piemonte (17.544) e l’Emilia Romagna (20.200).

I nuovi terreni messi a coltivazione nel nostro Paese contribuiranno ai “granai d’Europa” con una produzione aggiuntiva di circa 15 milioni di quintali di cereali fra mais (da usare come mangime per gli animali negli allevamenti), grano duro (per la produzione di pasta) e grano tenero (per la panificazione).

Per l’Italia si tratta di un obiettivo raggiungibile, visto che negli ultimi 25 anni un appezzamento agricolo su quattro (corrispondente al 28% della superficie coltivabile nazionale) è stato abbandonato dagli agricoltori nostrani – visto che molte industrie agroalimentari hanno preferito alle materie prime italiane quelle prodotte all’estero e vendute a prezzi più bassi.

Il provvedimento consentirebbe all’Italia, nel breve e medio periodo, di rendersi sempre più indipendente dai cereali esteri: si pensi che, attualmente, quasi la metà del mais necessario all’alimentazione del bestiame (47%) proviene da produttori esteri, come anche il 35% del grano duro e il 64% di quello tenero.

A livello comunitario servono più coraggio e risorse per migliorare la nostra sicurezza alimentare riducendo la nostra dipendenza dalle importazioni – commenta su questo il Presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. – Tuttavia, è necessario che alle importazioni venga applicato il concetto della reciprocità negli standard produttivi in modo che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute.

Questo è un modo per allontanare il rischio che gli standard di sicurezza alimentare vengano abbassati, magari autorizzando importazioni che mettono a repentaglio la salute dei consumatori – come il grano canadese coltivato con l’uso di glifosato o i bovini statunitensi alimentati con mangime contenente aflatossine cancerogene.

Grande attenzione inoltre alla concessione di rischiose deroghe ai prodotti contaminati da principi chimici vietati nel nostro continente, in quanto pericolosi, ma che resistono proprio perché la comunità europea necessita di prodotti che entro i confini scarseggiano – come ad esempio gli oli vegetali: per essi, almeno in Italia, non è obbligatorio esplicitarne la provenienza sulle etichette dei prodotti, a danno della trasparenza del prodotto stesso.

Seguici su Telegram Instagram | Facebook TikTok Youtube

Fonte: Coldiretti

Ti consigliamo anche:

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Facebook