Sembra una banana, ma è il super frutto che potrebbe sfamare il mondo senza intaccare il clima

Si tratta di una coltura simile alla banana molto consumata in Etiopia, ma che nessuno ancora conosceva al di fuori dal paese

Si tratta di una coltura simile alla banana molto consumata in Etiopia, ma che nessuno ancora conosceva al di fuori dal Paese

L’ensete Ensete ventricosum, anche conosciuto come falso banano o pseudo-banano, è una pianta perenne dell’Etiopia appartenente alla famiglia delle Musaceae e per secoli ha costituito una delle principali colture del paese in grado di sfamare più di 20 milioni di persone, anche se finora questa pianta continuava ad essere sconosciuta a molti al di fuori dell’Africa.

Infatti su questo albero non erano state condotte molte ricerche, motivo che ha spinto il Dr. James Borrell del Royal Botanic Gardens di Kew a studiare più a fondo l’ensete e le sue proprietà.

Dello pseudo banano non si mangiano frutti e fiori, bensì le radici amidacee che vengono utilizzate in moltissimi modi. La farina che se ne ricava costituisce la base per pane e porridge, dalle fibre si possono creare invece vestiti e con gli scarti nutrire gli animali.

Tutti impieghi che sono valsi allo pseudo-banano etiope il nome di “albero contro la fame” anche perché coltivarlo è davvero facile. La pianta tollera la siccità, stabilizza il suolo ed è possibile raccogliere le sue radici tutto l’anno per diversi anni prima che il suo ciclo vitale volga al termine.

L’ensete è stato sempre coltivato nella zona meridionale dell’Etiopia, a sud ovest per l’esattezza, un territorio poco esteso e ciò fa pensare al Dr. Borrell e al suo team di ricercatori che se l’area di coltivazione fosse più grande e con le stesse condizioni metereologiche favorevoli, questa pianta potrebbe sfamare più di 100 milioni di persone nelle prossime quattro decadi senza stravolgere l’ecosistema e combattere così l’insicurezza alimentare mondiale dell’Africa subsahariana, dove le popolazioni dipendono interamente da una agricoltura basata sull’acqua piovana.

Fonte: Environmental Research Letters

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