L’Italia non è un Paese per cani, soprattutto il Sud: canili strapieni, troppi abbandoni e costi esorbitanti

Canili affollati, grande disparità tra le Regioni e spesa pubblica in aumento: è questa la fotografia, non proprio rassicurante, fornita dalla nona indagine di Legambiente "Animali in città"

Canili affollati, grande disparità tra le Regioni e spesa pubblica in aumento: è questa la fotografia, non proprio rassicurante, fornita dall’indagine di Legambiente “Animali in città”, che valuta le performance delle amministrazioni comunali italiane e delle aziende sanitarie in relazione ai servizi offerti per la gestione degli animali. Quest’ultima presenta una grande disomogeneità e, come dichiarato dall’associazione ambientalista “potrebbe  essere un buon indicatore del caos amministrativo del Paese, dei suoi immensi divari tra aree geografiche e tra Comuni”.

La nona edizione dell’indagine di Legambiente, presentata questa mattina, analizza i dati del 2019 e restituisce, quindi, un quadro pre-pandemia. Rispetto all’indagine precedente si è registrato un lieve miglioramento complessivo ma senza progressi rilevanti in nessuno dei campi esaminati.

“Ci prepariamo ad affrontare una crisi economica e sociale post-pandemia che rischia di ripercuotersi anche sui milioni di animali da compagnia che abitano nelle nostre case e riempiono spazi relazionali importantissimi. – – annuncia Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Senza aiuti concreti, si rischiano scelte dolorose e l’aumento di abbandoni. Prevenire e accompagnare queste difficoltà, con iniziative diffuse, pubbliche e private, sarà essenziale per garantire il benessere a persone e animali”.

A dare concretezza a questa preoccupazione basta il dato fornito dalle aziende sanitarie, che dichiarano 226 canili rifugio in attività per 36.766 posti disponibili, ma al 31 dicembre 2019 erano ospitati in queste strutture 92.371 cani (2,5 volte i posti disponibili). I canali italiani sono, quindi, spaventosamente affollati.

Quanti sono i cani in Italia?

Secondo le stime più recenti, in Italia ci sono circa 2/3 cani per ogni cittadini residente, ma il quadro è piuttosto confuso, come evidenziato da Legambiente:

“I numeri continuano a restituirci un quadro parziale e frammentario, a causa del funzionamento a volte inesistente dell’anagrafe canina, ad oggi ancora l’unica anagrafe animale obbligatoria per i milioni di animali da compagnia presenti nelle case degli italiani. Secondo le amministrazioni comunali che hanno risposto, la media è di un cane ogni 7,5 cittadini residenti; ma solo il 36,1% dei Comuni rispondenti conosce il numero dei cani iscritti all’anagrafe nel proprio territorio, per un totale di 1.060.205 cani su 7.913.890 residenti. E il 32% dei Comuni conosce il numero delle nuove iscrizioni, avvenute nel 2019, pari a 85.432 cani. Se a Capo di Ponte (BS) si registra un cane ogni 1,4 residenti, nelle vicine Cisano Bergamasco (BG) e Capriate San Gervasio (BG) troviamo, rispettivamente, un cane ogni 6.261 residenti e ogni 4.059 residenti. Se però consideriamo le informazioni ricevute dalle Aziende sanitarie locali “virtuose” come ATS Insubria (Varese e Como) abbiamo un cane per ogni cittadino, o per ATS Brianza (Monza e Lecco) un cane ogni 3 cittadini. Sulla base delle anagrafi territoriali più complete, la stima del numero di cani presenti in Italia, che oscillano tra 3 e 2 cani per cittadino residente, va dai 19.800.000 ai 29.800.000. Numeri analoghi per i gatti. Sono 490 i Comuni che dichiarano di aver dato lettori di microchip in uso al personale, per un totale di 784 lettori: in media 1,6 per amministrazione.”

Le cifre della spesa per la gestione degli animali in Italia

A quanto ammonta la spesa relativa alla gestione degli animali nelle città italiane? 228.682.640 euro nel 2019, con un incremento del 3,6% rispetto all’anno precedente. È questa la cifra fornita da Legambiente che spiega:

“I Comuni dichiarano, infatti, di aver speso per questa voce 156.857.113 euro, a cui vanno sommati i 71.825.527 euro spesi dalle aziende sanitarie. La somma totale è ingente se confrontata con altre voci di spesa del Paese, è pari a 2,7 volte la somma impegnata per tutti i 24 Parchi nazionali italiani (85.000.000,00 euro, riparto 2019) o a 62 volte quella per tutte le 27 Aree marine protette (3.708.745,90 euro, riparto anno 2019) e complessivamente spropositata rispetto alla qualità dei servizi offerti in termini di benessere animale.”

Per quanto riguarda il rapporto tra risorse impegnate e risultati ottenuti, soltanto 11 dei Comuni campionati (ovvero 1%) ha raggiunto una performance eccellente: sono Verrès (AO, 2.577), Moruzzo (UD, 2.480), Prato (194.223), Costigliole Saluzzo (CN, 3.314), Gravere (TO, 673), Amandola (FM, 3.443), Sarnonico (TN, 795), San Gillio (TO, 3.101), Savona (59.439), Cupramontana (AN, 4.507) e Casalciprano (CB, 501).

“La maggior parte dei costi attuali è assorbita dai canili rifugio, per i quali i Comuni dichiarano di spendere il 59,3% del bilancio destinato al settore (circa 93 milioni di euro stimati per il 2019) e di gestire in proprio il 2,2% di queste strutture, tramite ditte o cooperative con appalto pubblico il 21,7%, tramite associazioni in convenzione il 27,9%.” – spiega Legambiente – Per il rimanente 48,2% non è dato sapere.”

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La situazione (disastrosa) al Sud

I comuni italiani che gestiscono gli animali in maniera più virtuosa si trovano tra al Nord e al Centro. Al Sud la situazione è decisamente più preoccupante.

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“I Comuni che hanno dichiarato di avere cani liberi controllati sono nel 67,4% dei casi al Sud e Isole, nel 4,2% al Centro e nel 28,4% dei casi al Nord Italia.” – si legge nel rapporto di Legambiente – Complessivamente sono stati dichiarati 1.632 cani liberi controllati, con 281 cittadini specificamente impegnati. Solo il 29,7% dei Comuni dichiara di monitorare le colonie feline presenti nel proprio territorio e da questi monitoraggi risulterebbero 16.650 colonie, con oltre 143.530 gatti e 8.881 cittadini impegnati. Scarseggiano le aree cani: solo il 24,2% dei Comuni dichiara di avere spazi dedicati all’aperto, in media uno ogni 9.699 cittadini residenti. Ma se, tra i capoluoghi, Siena mette a disposizione un’area cani ogni 2.361 cittadini, Reggio Calabria ne offre una sola ai suoi 174.885 residenti e Bari una ogni 157.642 persone.”

Secondo i Comuni, in media su 5 cani vaganti catturati e portati in canile rifugio per 4 è stata trovata una felice soluzione (tra restituzioni ai proprietari, adozioni o re-immissioni come cani liberi controllati); secondo le Asl il rapporto è di uno a uno. Ma, come per il numero di presenze registrate, i dati di dettaglio restituiscono situazioni estremamente diverse. Se, per esempio, nel 2019 a San Lazzaro di Savena (BO), Rapolla (PZ) e Acquedolci (ME) per un cane preso in carico è stata trovata soluzione per 10 altri, a Parete (CE) è stato ricollocato un solo cane su 39 presi in carico, a San Nicola la Strada (CE) uno su 34, a Mirabella Imbaccari (CT) uno su 20 e a Montalbano Jonico (MT) uno su 11. La ASL di Taranto non ha trovato soluzione per nessuno dei 795 cani presi in carico, mentre l’Area Vasta 2 per un cane preso in carico ha trovato soluzione per 5.

Inoltre, soltanto il l’14% dei Comuni dichiaranti è in contatto con un centro di recupero per animali selvatici a cui indirizzare chi dovesse trovare un uccello ferito e la percentuale scende al 9% se si trova un mammifero ferito, al 2% se si trova una animale marino o un rettile in difficoltà, e all’1% se si trova un animale esotico ferito.

Regolamenti e ordinanze sulla gestione degli animali

Com’è, invece, la situazione dal punto di vista legale? Per quanto riguarda i regolamenti e le ordinanze, il 35% dei Comuni italiani dichiara di avere un regolamento per la corretta detenzione degli animali in città, l’accesso ai locali pubblici e negli uffici in compagnia dei propri amici a quattro zampe è regolamentato in poco più di 1 Comune su 10 (11%) mentre i Comuni costieri che hanno regolamentato l’accesso alle spiagge sono ancora il 14,9%. Ancora pochissimi, solo il 6%, i Comuni che hanno adottato un regolamento per facilitare la cremazione, l’inumazione e la tumulazione dei nostri amici a quattro zampe.

Solo il 6% dei Comuni rispondenti ha approvato regolamenti per facilitare le adozioni dai canili con agevolazioni fiscali o sostegni; il 3% un regolamento per facilitare, con agevolazioni fiscali o sostegni economici la sterilizzazione, o contrastare, con oneri fiscali, chi detiene riproduttori e cucciolate, mettendo un freno all’attuale, incontrollata, popolazione riproduttiva canina e felina. Il 7,8% si è dotato di un regolamento per contrastare l’uso di esche o bocconi avvelenati nei territori urbani e periurbani. Infine, il 10,6% dei Comuni ha regolamentato l’arrivo e la sosta di spettacoli con animali, mentre il 4,3% dichiara di aver regolamentato botti e fuochi di artificio.

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@Legambiente

Insomma, l’Italia non è un Paese per cani, soprattutto il Sud. Secondo Legambiente, è arrivato il momento di approvare l’anagrafe nazionale per tutti gli animali d’affezione “per fare uscire dalla clandestinità presenze e bisogni diffusi”. È necessario fare rete tra enti pubblici e privati, ispirandosi alle esperienze positive e ponendosi l’obiettivo di 1.000 strutture veterinarie pubbliche ben funzionanti, tra canili e gattili sanitari e ospedali veterinari (una ogni 50-100mila cittadini, in base alle esigenze territoriali).

Fonte: Legambiente

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