Co-housing: 7 cose da sapere se decidete di coabitare

Un nuovo modo di vivere vecchio come il mondo. È questa la definizione di co-housing data da Coabitare, l’associazione che ha appena concluso il primo progetto di co-housing urbano della città di Torino e che ora sta per dare avvio alla seconda esperienza di progettazione condivisa per la realizzazione di un secondo nuovo nucleo co-abitativo.

Se Numero Zero è nato sulle ceneri di un vecchio palazzo del centro e accoglie otto nuclei famigliari, la sfida all’orizzonte prevede la declinazione in co-housing di 1500 mq – 13 spazi abitativi compresi tra 45 e 90 mq – collocati all’interno di una struttura ex-industriale di 15.000 mq situata in una zona semi-centrale della città, che l’impresa di costruzione intende ristrutturare con l’obiettivo di farne un complesso residenziale, commerciale e terziario.

In Italia, il co-housing rappresenta ancora un’esperienza marginale quando si pone sul tavolo la questione dell’abitare. Specie nelle aree urbane, le configurazioni architettoniche dei condomini hanno imposto stili abitativi che poco si conciliano con la logica della condivisione. Eppure il modo in cui una società abita non è un “fatto”, dato una volta per tutte, ma un processo in costante evoluzione. E il co-housing si intreccia con l’affermazione di istanze che evocano il bisogno di un sentire antico, partecipato, decongestionato.

Se per alcune pratiche di consumo collaborativo sono sufficienti un computer e una connessione internet, la formazione di un gruppo di persone capaci di coabitare necessita un percorso di conoscenza, formazione e aggiustamento reciproco basato sull’incontro e su alcuni principi. Li abbiamo chiesti a Chiara Mossetti dell’associazione Coabitare.

L’obiettivo

E’ importante averlo chiaro. Coabitare in città significa vivere non in un condominio come tutti gli altri, ma in uno spazio condiviso e collaborativo. In cui socialità, sostenibilità e vivibilità si compenetrano. In cui le persone si aiutano reciprocamente. In cui le aree e le funzioni dialogano. In cui non si parcheggia l’auto, si prende l’ascensore, si attraversa un corridoio e ci si chiude la porta di casa alle spalle.

Gli strumenti

Non è detto che un gruppo di persone, per quanto coese, abbia gli strumenti persostenere e gestire un percorso di progettazione partecipata come quello richiesto da un co-housing, in grado di essere abbastanza rigido da fornire indicazioni precise agli architetti e abbastanza flessibile da contemplare i cambiamenti che occorreranno al modificarsi della vita di ciascun componente. “Il compito che la società di costruzioni ci ha affidato è abilitare i 13 nuclei famigliari a confrontarsi in modo che, prima che il cantiere dia avvio ai lavori, essi si siano conosciuti, incontrati e abbiano collettivamente deciso quali spazi mettere in comune e quali tenere nel privato, quanto grandi dovranno essere le loro case, quante lavatrici nella lavanderia comune, quanti mq per il giardino e così via”.

I tempi

“La coabitazione prevede disposizioni architettoniche e strutturali differenti rispetto a quelle che appartengono a un classico condominio. La scelta dei servizi comuni, della loro collocazione e grandezza per esempio deve essere attivata molto prima che i muratori inizino a lavorare”. Ciò significa che fin dai mesi che precedono l’apertura del cantiere, si stabiliscono incontri, riunioni e impegni e si concertano le decisioni. Chi inizia deve sapere che non avrà a disposizione la casa prima di un paio d’anni. Dunque, i frettolosi sono consigliati di astenersi.

La motivazione

Sempre più persone sono spinte a trovare soluzioni più soddisfacenti dal punto di vista sociale, ecologico ed economico. Nel caso di Coabitare la ricerca di otto famiglie che aderissero al primo progetto richiese diverso tempo. In un paio di mesi, cinque sono già i nuclei che hanno aderito al secondo progetto e altrettanti sono in attesa. Sono single, coppie con figli già grandi o con bambini ancora piccoli, single di ritorno, neo-sposati. Sono tipologie eterogenee accomunate da un sentire comune: cambiare il proprio modo di abitare. ”Prima ancora della casa ci si innamora dell’idea di contribuire alla costruzione di uno spazio totalmente proprio – perché scelto sotto ogni aspetto – e della possibilità di vivere e aiutarsi reciprocamente”.

La scelta

La casa in coabitazione è fatta di soluzioni che non sono calate dall’alto. Di quale parte della vostra casa sareste disposti a fare a meno? Dirottereste divani e televisione in uno spazio comune? Eliminereste stanza-studio per un co-working condominiale? Vorreste far scomparire il ripostiglio per poter usufruire di una lavanderia e stireria comune? Meglio il giardino o l’orto in cortile? Sono innumerevoli le domande cui un coabitante deve dare risposta nel corso del processo. E per ognuna si presuppone una scelta, personale ma condivisa, autonoma ma orientata al bene comune.

Il dialogo

In un mondo che offre continuamente la possibilità di esprimersi, “le persone si dimostrano ancora meno capaci di parlare in gruppo, guadandosi negli occhi, confrontandosi in diretta, prestando attenzione a quello che succede”. Il processo di coabitazione costringe ad ascoltare, a parlare e a esaminare le motivazioni dell’altro fino a farle coincidere con le proprie.

L’efficienza

Delle risorse economiche, di quelle energetiche, dello spazio a disposizione, del proprio stile di vita. Ripensare gli spazi abitativi in un’ottica condivisa permette di ponderare la spesa in funzione di ciò che realmente è necessario alla nostra vita. Evitando di sprecare denaro – perché di quello in fondo parliamo, specie in periodi di crisi – per mq che non utilizzeremo, mobili di cui ci stancheremo e risorse di cui potremmo fare a meno a favore di sistemi energetici migliori, di spazi più vissuti e di una dimensione di mutuo soccorso.

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