Schermature verdi in ambiente urbano di Roberto Busselli

“Schermature verdi in ambiente urbano” è il lavoro dell'architetto Roberto Busselli dove il sole è pensato come energia democratica da utilizzare equamente in un contesto cittadino dove, parallelamente al rinnovabile, cresce la superficie verde verticale a disposizione di tutti.

«Il sole è un bene comune ed è fonte di energia irrinunciabile, lo definirei “diritto” di ognuno. Credo sia compito dell’architetto progettare consapevolmente, senza ledere il “diritto” degli altri di usufruire e sfruttare le risorse energetiche che la natura ci offre», così Roberto Busselli, 26 anni, architetto inizia a descrivermi il suo progetto.

Una laurea specialistica in progettazione architettonica e urbana presso il Politecnico di Milano, una prestigiosa collaborazione con lo Studio De Ponte partita nel 2010 e una tesi dal titolo “Schermature verdi in ambiente urbano”.

Lo contatto su Facebook per avere qualche informazione in più sul suo lavoro di tesi. Dopo venti minuti squilla il telefono. «Pronto, Serena? Sono Roberto, ti disturbo?» Tono cordiale, voce genuina, chiara; un bel biglietto da visita.

Gli chiedo di spiegarmi brevemente il suo “Schermature verdi in ambiente urbano” e il concetto di base è illuminante: il sole come energia democratica da utilizzare equamente in un contesto cittadino dove, parallelamente al rinnovabile, cresce la superficie verde verticale a disposizione di tutti.

L’idea si rifà allo strumento della Solar Envelope, studiato dal prof. Ralph Knowles presso la University of Southern California tra gli anni ’70-’80:

Lo studio si propone di analizzare un metodo di costruzione grafica, che definisce un ipotetico volume massimo costruibile sul sito, che non produca ombreggiamento sfavorevole sulle proprietà confinati in determinati periodi di tempo. Nella fase iniziale della tesi – aggiunge Roberto – ho studiato l’adattabilità di questo strumento al contesto milanese, introducendo elementi di innovazione che permettessero di ottenere risultati altrimenti utopici per situazioni urbane italiane».

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Dall’America all’Italia per valorizzare elementi quali sole, verde e democrazia energetica. E la città di riferimento non poteva che essere Milano, dove Roberto vive e lavora.

Per capire questo lavoro partiamo dal principio, l’idea:

Ho cercato di progettare un’architettura urbana che potesse inserirsi nel contesto milanese sfruttando a pieno le risorse energetiche gratuite a sua disposizione, senza ledere gli interessi delle proprietà confinanti di diritto al sole. Un’architettura basata sui principi del risparmio energetico che adotta una facciata verde come sistema di schermatura solare».

La scelta di adottare una parete verticale vegetale intesa come sistema di schermatura solare a grana fine, al posto di un sistema schermante fisso, ha permesso di risolvere i problemi di isolamento termico durante i diversi periodi dell’anno senza compromettere la capacità visuale di quella particolare parete.

Per il sostegno delle facciate verdi è stata adottata una struttura autoportante in acciaio, esterna ed indipendente rispetto all’edificio. Tale struttura predispone l’alloggiamento delle passerelle di manutenzione, presenti su ogni piano ed accessibili dai pianerottoli interni all’edificio, e dei vasi per il contenimento del terreno per la crescita del verde rampicante. I vasi sono stati collocati al piano terreno ed al secondo per garantire alla pianta rampicante la possibilità di svilupparsi lungo due piani continui. Inoltre, la struttura di facciata sostiene i montanti orizzontali e verticali in alluminio che definiscono la parete vetrata continua.

Valutando la caratteristica stagionale del verde rampicante, sono state scelte delle specie a foglia caduca con l’obiettivo di garantire un buon isolamento nei mesi estivi senza privare dell’accesso solare quelli invernali. Un adeguato sistema di ventilazione naturale interna all’edificio, garantito da aperture sull’ambiente serra e sulla facciata a nord, consente in estate di controllare il surriscaldamento eccessivo.

Un progetto innovativo applicato a un quartiere urbano preesistente e confinante con l’area di trasformazione di Porta Vittoria, a Milano.

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« Ho utilizzato un quartiere già esistente caratterizzato dalla presenza di un vuoto urbano irrisolto che è diventato oggetto delle mie analisi – mi dice Roberto – L’area era completamente vuota, lo stabile di riferimento è di mia progettazione. Si tratta in un edificio per uffici nel quale ho inserito una serra solare come soluzione per il risparmio energetico. Ospita funzioni destinate ad uffici e altre maggiormente pubbliche e di relazione».

Una Milano rinnovabile parte anche da qui, ma come ti immagini la città del futuro?

« Immagino una città evoluta tecnologicamente che deve far fronte ad un eccessivo sfruttamento delle risorse. Una città in continuo sviluppo e cambiamento che combatte con le problematiche ambientali dovute alla sua crescita. Una città sempre più densa, che (come nel caso della mia tesi) valorizza lo sviluppo verticale “verde” per la mancanza di spazi orizzontali destinabili. Una città che si evolve ma che deve controllarsi per non recarsi danno».

E se la città del futuro si autoregola e privilegia il verde, Milano nella sua affascinante caoticità attende l’Expo. Le origini di Roberto non sono lombarde bensì altoatesine. Cresciuto nella culla di Casa Clima e del risparmio energetico, mi chiedo se Milano oggi lo soddisfa.

Sono originario di Bolzano, città nella quale il verde è l’ultimo problema, anzi è una delle sue risorse maggiori. Logicamente Milano ha un lato che mi affascina per la sua storia e le sue bellezze architettoniche, ma dall’altra mi soffoca a causa del suo poco sfogo, del suo verde rado e concentrato in soli e pochi parchi cittadini e del suo orizzonte sempre uguale e costruito. Città che non offre sfogo visivo alla monotonia edificata.

Da altoatesino vorrei vivere Milano in modo salutare, a “due ruote”, come sono sempre stato abituato a fare, ma purtroppo, seppur in evoluzione, la trovo ancora inadeguata ad accogliere questo stile di vita».

Chissà che il cambiamento non parta proprio dall’applicazione su ampia scala del suo lavoro.

Serena Bianchi

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