Una class action per recuperare l’IVA della tassa sui rifiuti/tia

La Corte di Cassazione ha stabilito che la Tia, la Tariffa di Igiene Ambientale che in molti comuni ha sostituito la precedente Tarsu, è un tributo e come tale non è soggetto ad Iva, ma molti comuni continuano a farla pagare. Per questo Altroconsumo lancia 8 class action per chiedere il rimborso dell’importo non dovuto.

Non buttiamo i nostri soldi nella spazzatura! La Corte di Cassazione ha stabilito che la Tia, la Tariffa di Igiene Ambientale che in molti comuni ha sostituito la precedente Tarsu, è un tributo e come tale non è soggetto ad Iva, ma molti comuni continuano a farla pagare. Per questo Altroconsumo lancia 8 class action per chiedere il rimborso dell’importo non dovuto.

Come riportato sul numero di novembre 2012 del giornale dell’omonima associazione di consumatori, sono partite class action verso le municipalizzate AMA Roma (bacino di riferimento Roma), HERA Spa (Bacino di riferimento Emilia Romagna), QUADRIFOGLIO Spa (Bacino di riferimento Toscana), IREN Spa (Bacino di riferimento Emilia), AAMPS Spa (Bacino di riferimento Livorno), TRENTA Spa (Bacino di riferimento Trento/Rovereto), VERITAS Spa (Bacino di riferimento Veneto), CONTARINA Spa (Bacino di riferimento Veneto), insieme a 67 diffide in tutta Italia.

Se in una situazione di crisi economica lo Stato comincia a calpestare la certezza del diritto non rispettando consapevolmente e per scelta le leggi a discapito degli interessi di coloro che, come i consumatori presi singolarmente, non possono essere in grado di farsi valere, significa che stiamo cominciando a scendere una china pericolosa“, spiega l’associazione, che punta a recuperare due miliardi di euro dall’Iva pagata ingiustamente dai cittadini sulla Tia.

Permane una sorta di sgomento, e di disagio, nell’avvertire con quanta semplicità si proceda a negare, a volte confondere e a disapplicare i principi sanciti dagli organi supremispiega chiaramente Alfonso Gioia, Capogruppo Udc in Liguria -. E lo sgomento diventa senso di impotenza quando si riscontra che a disapplicare tali principi sono per prime le stesse istituzioni, il Comune di Genova nulla fa (come molti altri, n.d.r.) o intende fare per ripristinare la condizione di legittimità, alle quali per prime compete, invece, l’obbligo di darvi attuazione“.

La vicenda inizia nel lontano 1993, quando il legislatore, con il decreto legislativo n. 507, ha previsto che i Comuni istituissero una tassa annuale, la Tarsu, da applicarsi in base a tariffa, secondo gli appositi regolamenti comunali, a copertura del costi relativi allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani nelle zone del territorio comunale. Nel 1997, poi, l’art. 49 del decreto legislativo n. 22 del 1997, detto decreto Ronchi, è stabilì l’obbligo dei Comuni di effettuare, in regime di privativa, la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati e di istituire una tariffa per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani.

Tale tariffa, da qul momento in poi denominata Tariffa di Igiene ambientale ( TIA/1 ), diversamente dalla normativa sulla TARSU (norma di fatto abrogata), sostanzialmente evitò di qualificare espressamente il prelievo come “tributo” o “tassa”, stabilendo che dovesse sempre coprire l’intero costo del servizio di gestione dei rifiuti. Ma nel 2006, un successivo intervento normativo (n. 296 del 2006) soppresse la tariffa di cui al precedente decreto Ronchi, sostituendola con la “Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani“, successivamente denominata Tariffa Integrale Ambientale (TIA/2).

Questa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi di realizzazione e di esercizio dell’impianto per lo smaltimento in discarica. La Tariffa Integrale Ambientale (TIA/2) non è mai stata resa operativa perché il relativo regolamento attuativo non è stato mai emanato. I Comuni hanno continuato, quindi, ad applicare la Tariffa d’Igiene Ambientale (TIA/1), con un’aliquota pari al 10%, a titolo di Iva, sulle fatture inerenti i servizi erogati.

Arriviamo, quindi, al punto nodale, quando cioè, con sentenza n. 238/2009, la Corte Costituzionale ha giudicato insostenibile l’applicazione dell’Iva sulla TIA/1 determinando la natura tributaria della TIA/1. La Corte di Cassazione del 9 marzo 2012 con sentenza n. 3756, da ultimo, ha ribadito, una volta per tutte, la pacifica natura tributaria della TIA/1 e la non assoggettabilità all’IVA. Ma alcuni gestori del servizio e titolari del prelievo (i Comuni) “incuranti di tutto ciò continuano ad incassare – conclude Gioia-, del tutto arbitrariamente e illegittimamente, ne deduco, l’IVA sulla TIA/1 e a versarla all’Erario“.

Per questo Altroconsumo ha deciso di diffidare molti Comuni e di avviare alcune class action. Ma quanto ci deve lo Stato? “Ogni caso è a sé – spiega l’associazione-, bisogna recuperare le fatture e verificare se è stata pagata la Tia (non tutti i contribuenti sono sottoposti a questo tributo) e da quanto tempo. A questo punto vanno sommati gli importi versati come Iva al 10% negli ultimi 10 anni. Il totale è quanto ti spetta di rimborso, la cifra dovrebbe essere compresa fra i 70 e i 150 euro complessivi“. Ecco perché bisogna controllare le fatture e contattare Altroconsumo per unirsi alla battaglia (qui il pdf del modulo di richiesta rimborso iva sulla tassa rifiuti).

Roberta Ragni

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